La testimonianza
martedì 12 Dicembre, 2023
di Denise Rocca
È stanco ed esasperato dalla vicenda giudiziaria che da quattro anni ha fermato l’impianto di trattamento rifiuti della sua azienda. Roberto Bianchi, titolare della Bianchi Srl di Cornalé di Isera, era in aula nel tribunale di Rovereto ieri mattina per la ripresa del processo a suo carico con l’accusa di traffico illecito di rifiuti.
«Nel marzo 2020 quando tutto questo è cominciato avevo 48 dipendenti – spiega Bianchi, a margine dell’udienza – oggi ne ho solo 13 e una situazione economica disastrosa. Chiediamo solo che ci venga contestato l’errore se errore abbiamo fatto e ci permettano di tornare a lavorare. Siamo stati trattati come mostri in questi anni, è stato detto perfino che c’era dell’amianto e invece le analisi hanno dimostrato che non era così, ma ormai se scriviamo Bianchi in un motore di ricerca ci troviamo abbinati a questa accusa». La vicenda, va avanti da tempo.
Nel marzo del 2020 il primo sequestro di una porzione dell’impianto di Isera da parte dei carabinieri del Noe (Nucleo Operativo Ecologico) di Trento, che con in mano un provvedimento del giudice per le indagini preliminari Enrico Borrelli, avevano messo i sigilli all’impianto di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, derivanti essenzialmente da demolizioni edili, della ditta Bianchi. Un sequestro che si è poi esteso al resto dell’impianto di Cornalè nell’ottobre di quell’anno dopo che la ditta aveva mancato di ottemperare alla diffida dell’Appa che imponeva loro l’analisi dei rifiuti da spazzamento. «Un errore, non avevamo capito cosa dovevamo fare» dice oggi Bianchi. Sul banco dei testimoni ieri mattina in udienza c’erano due degli ispettori ambientali che hanno effettuato la sorveglianza: un lavoro molto esteso con oltre 50 giorni di appostamento che ha portato a raccogliere circa 6.000 documenti fotografici e video per provare «il cocktail illecito di rifiuti – è stato detto in aula – che veniva realizzato a Isera, dove rifiuti industriali che non potevano essere miscelati di fatto lo erano continuamente. A volte i carichi entravano e uscivano senza essere stati recuperati. Non c’erano i tempi per farlo: in diverse occasioni nei pochi minuti in cui abbiamo visto entrare e uscire i camion con i carichi non poteva essere effettuata la corretta procedura per il recupero».
Uno dei cantieri dove, secondo gli ispettori, sono stati riportati dalla Bianchi rifiuti non trasformati è quello della nuova circonvallazione di Trento dove la sorveglianza degli ispettori ambientali è iniziata nel gennaio 2020.
La materia è molto tecnica e complessa, in aula ci saranno ancora nelle prossime udienze i testimoni della procura – gli ispettori ambientali e i carabinieri del Noe – a spiegare gli illeciti contestati e le indagini effettuate. La parola fine è ancora ben lontana dall’arrivare e Roberto Bianchi si sente «vittima di «accanimento». «Lavoriamo dagli anni ‘80 in questo ambito – spiega – mio padre ha fondato l’azienda e io vedo tutto questo sgretolarsi sotto i miei occhi per una gestione sbagliata che mi viene contestata di pochissimi carichi rispetto alla quantità . Quattro anni: è sproporzionato quanto stiamo vivendo rispetto alle contestazioni. Vogliamo solo tornare a lavorare. Solo alla quinta istanza di dissequestro presentata ci è stato permesso un rientro parziale, ma ancora non lavoriamo».
l'incontro formativo
di Redazione
Il 20 novembre alla Fondazione Mach l'evento di approfondimento riservato ai datori di lavoro i cui dipendenti potrebbero essere esposti al rischio di incontrare, durante il proprio lavoro, un orso o un lupo