La conferenza

giovedì 9 Novembre, 2023

Italia Nostra festeggia 60 anni. Vivere la montagna nell’epoca dei cambiamenti climatici

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Sabato 11 novembre nella sala Rossa della Comunità Valsugana e Tesino in piazzetta Ceschi, 1, dalle 17 ci sarà il momento di approfondimento e conoscenza

Quando fu fondata Italia Nostra del Trentino nel 1963 la cultura naturalistica, con alta qualificazione scientifica, era già sedimentata sul territorio grazie all’impegno profuso da personalità come Giovanni Pedrotti – Giancarlo Gallarati Scotti – Guido Castelli – i fratelli Paolo e Renzo Videsott.

Persone che hanno seminato e offerto ai fondatori dell’associazione temi basilari sui quali lavorare la difesa della presenza dell’orso bruno, la cultura dei parchi, la difesa della biodiversità e dei paesaggi. Gallarati Scotti aveva dato vita da pochi anni (1957) all’Ordine di San Romedio, che come scopo principale aveva la difesa dell’orso. Italia Nostra nasceva certo per difendere e diffondere cultura del bello: nelle città, nei centri storici, nell’arte, nella storia: in una realtà come quella trentina il tema della salvaguardia della natura non poteva rimanere marginale.

Le prime azioni hanno riguardato la salvaguardia della Val di Genova e della Val di Tovel, la lotta contro l’estrazione dell’uranio in val Rendena, l’istituzione del parco naturale dell’Adamello – Brenta, la promozione attiva della gestione del parco nazionale dello Stelvio, la difesa dell’integrità del patrimonio forestale e dei corsi d’acqua, la gestione della fauna selvatica. Alcuni dei temi in agenda nel 1963 sono attuali ancora oggi. Non è un buon segnale.

A questo già gravoso impegno alla fine del secolo scorso la sezione trentina di Italia Nostra aggiunse impegni di alto profilo: l’applicazione della Convenzione delle Alpi, della legge di Valutazione d’impatto ambientale (VIA), il recepimento delle direttive europee Uccelli e Habitat, la garanzia del deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua e la loro naturalità, la pianificazione delle due aree protette (Adamello Brenta e Paneveggio – Pale di San Martino) e la  tutela degli oltre 200 biotopi naturali.

 Come agiva l’associazione? Ricercando alleanze ampie: con la SAT innanzi a tutto, e con le altre associazioni ambientaliste oltre che con i comitati locali che rendevano vitale la democrazia e il controllo sul territorio anche nelle vallate: si pensi all’esperienza di SOS Dolomites, alla lotta su Val Jumela, contro il collegamento San Martino – passo Rolle attraverso i laghi di Colbricon, la difesa della valle del Vanoi, il tema dello smaltimento dei rifiuti, le discariche previste negli alvei dei torrenti, l’uso dei fitofarmaci, la pianificazione urbanistica, sia nel profilo provinciale che in quello dei Comprensori e oggi Comunità di valle.

Anche il lavoro con le istituzioni è stato intenso: nei primi decenni si trattava di collaborazione attiva, gli uffici mantenevano porte aperte. Oggi non è più così: Provincia e Comuni si sono trasformati in fortezze, anche altri istituti partecipativi sono stati resi inutili, passaggi rituali privi di capacità propositiva,  o soppressi: il Comitato faunistico, l’Osservatorio per l’ambiente e il paesaggio, la Cabina di regia delle aree protette.

Molti i successi: oggi il 34% del territorio è tutelato ad area protetta, i biotopi sono in gran parte ben gestiti, la Valdastico non è stata completata, la raccolta dei rifiuti viaggia su percentuali ottime. Ma alcuni di questi successi sono fragili, non consolidati, per lo più gestiti con incoerenza e oggi minacciati.

Per via degli effetti complessivi sull’ambiente a preoccupare maggiormente è l’industria del turismo, trasformatasi in troppe nostre valli in monocultura. Preoccupa perché, nonostante i cambiamenti climatici in atto, questa industria è sempre più invasiva e sta urbanizzando in modo determinante le alte quote, crinali e montagne: viabilità, accessi, antropizzazione invernale ed estiva, l’istituto della deroga che permette a baite e rifugi di trasformarsi in abitazioni e alberghi di lusso, bacini di raccolta acque sempre più ampi e capaci, ma impattanti in modo indiscriminato sull’ambiente.

Si è arrivati a rendere inefficace, debole il servizio del controllo ambientale: la privatizzazione di guardiacaccia e guardapesca, la soppressione dei guardaparco, la diminuzione di personale nel corpo forestale provinciale e dei custodi forestali, l’inefficacia del controllo territoriale dell’APPA ci preoccupano.

Eppure questi anni di cambiamenti climatici tanto virulenti e sempre più accelerati avrebbero dovuto  portare a politiche opposte: più controllo, superamento dell’istituto della deroga, tutela delle foreste e dei corsi d’acqua, valorizzare gli studi e le ricerche sui ghiacciai ancora presenti, definire in modo partecipato e interdisciplinare una Carta provinciale dei Pericoli.

Noi, come Italia Nostra, riteniamo che il tema dei cambiamenti climatici debba passare da una fase emergenziale, affidata sempre più spesso alla gestione di commissari, a un processo di studio e iniziativa strutturale. Si deve aiutare chi abita in montagna a vivere il più serenamente possibile in territori sicuri e fortemente strutturati nel tempo dal punto di vista valoriale e naturalistico.

Pensiamo anche alle occasioni perdute. La Fondazione Dolomiti UNESCO è forte di un piano di gestione costruito con metodo partecipativo, approvato dal Consiglio di amministrazione fin dal 2017. Non una riga di quel piano è stata attuata.

Da vent’anni sappiamo quante auto, moto, di residenti e di ospiti, quante biciclette transitano sui passi dolomitici. E ancora, invece di agire, si studia e si lascia libero sfogo alle auto private, alla velocità di moto e raduni (arrivati fin nel cuore del parco di Panveggio, nel 2019 e ancora nella tarda estate del 2023, in val Canali).

Sono necessari dei decisi e coerenti no. Basta seconde case, nel modo più assoluto. Basta consumo di suolo libero. Basta violenza sulle acque. Basta grande viabilità. Le foreste non sono una sommatoria di metri cubi di legname: rappresentano l’ecosistema più complesso nella natura, quindi tracce di bosco vetusto ancora presente, i boschi di protezione vanno tutelati nella loro integrità.

Ripensare 60 anni di impegno ci è utile? Certo, per fare cosa? Cambiare il Trentino, in modo strutturale. Investendo in conoscenza, nel valore della scienza, per creare nuove opportunità lavorative, per rendere più sicura la vita sia in montagna che nel fondovalle. La prima azione che ci porta a decidere su un tema, che ci coinvolge a livello di singoli, famiglie e comunità è chiara: si chiama risparmio.

Come? Ridando energia e fiducia ai percorsi partecipativi, del cittadino e dell’associazionismo. La democrazia si nutre del contributo diffuso nel tempo, non solo nell’azione del voto: i cittadini, lo comprendano bene chi ci amministra, non sono un disturbo.

 

SESSANT’ANNI DELLA SEZIONE TRENTINA D’ITALIA NOSTRA

Sessant’anni intensamente spesi per fronteggiare le aggressioni al patrimonio culturale e naturale del Trentino, frutto di una visione miope del progresso socio- economico a spese del patrimonio irriproducibile di natura e di cultura.

In un’epoca contrassegnata dal cambiamento climatico, i decisori politici non pare abbiano compreso le conseguenze dell’aggressione ai valori naturalistici, paesaggistici, culturali del territorio. Prosegue lo sviluppo scriteriato degli anni ‘60 e ‘70: uno sviluppo che aggredisce i beni comuni – l’acqua, le foreste, la biodiversità, i paesaggi – e ora sta invadendo anche le alte quote, fino a poco tempo fa ritenute inviolabili. Occorre dunque rinnovare l’impegno nella difesa dei beni primari.

L’incontro si propone di avviare una riflessione sulle modifiche dell’uso della montagna, non solo nella Provincia, ma in tutte le Alpi.

La montagna di domani

Italia Nostra si è sempre impegnata nella tutela degli ambienti naturali: le aree protette, la qualità della loro gestione, la difesa della valle di Genova, le Giudicarie aggredite dalla folle escavazione dell’uranio, la qualità delle acque di laghi e torrenti, l’integrità dei sistemi forestali, la limitazione all’espansione dell’industria dello sci, la salvaguardia della fauna selvatica e ittica, la limitazione dell’uso dell’auto privata. A questo si aggiunge oggi il contrasto al consumo di suolo e al prolungamento dell’A31 (Valdastico). Negli ultimi decenni il turismo si è dequalificato puntando sulla quantità invece che sulla qualità. Come ci ricorda Corrado del Bò, docente di etica del turismo, “va in scena la turistificazione, ovvero la sostituzione di una comunità con una non comunità come quella turistica”. Il compito che ci aspetta è gravoso. C’è bisogno di una nuova sensibilità, d’investire in risparmio e sobrietà in ogni settore. C’è bisogno di più ricerca scientifica, di formazione e di progresso culturale nell’uso del territorio. Partendo dalle alte quote, dalla qualità dei pascoli e boschi per arrivare ai fondovalle fino alle grandi pianure. Perché ciò avvenga c’è bisogno della democrazia partecipativa, ultimamente umiliata. Un compito che va inserito nel contesto dei cambiamenti climatici, perché chi abita le città sempre più “bollenti” avrà bisogno di un dialogo intenso con le montagne. Prepariamoci ad accogliere e ospitare nuovi soggetti che poco conoscono il nostro territorio e i valori della montagna.

Le sfide che ci attendono

La tempesta Vaia ha lasciato cicatrici profonde nel sistema forestale. Le conseguenze si fanno sentire con il diffondersi del “bostrico”, che renderà marginale la presenza dell’abete rosso e produrrà nuovi boschi ricchi di specie e auspicabilmente disetanei. La tempesta Vaia ha anche modificato i rischi sul territorio: andrà ridisegnata la Carta dei pericoli e servirà una nuova pianificazione forestale. Quella tempesta ha insegnato poco: si è creata una nuova rete di strade forestali, troppe delle quali inutili, si sono imposte protezioni aggressive, impattanti e costose. Basta consumo di suolo: si riusi il patrimonio infrastrutturale esistente, specie in alta quota. Si dovrà investire nell’agricoltura biologica, risparmiare acqua e energia, investire in mobilità dolce anche imponendo, dove necessario, il numero chiuso. Si dovrà investire nelle aree protette, nella sperimentazione di nuove pratiche, nella tutela dei paesaggi, nel potenziamento della biodiversità faunistica e vegetale, rinnovando la fertilità dei suoli. Queste sfide devono dare solidità ai 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030, riportare credibilità alla Fondazione Dolomiti UNESCO, alle Reti delle riserve e ai loro progetti di valorizzazione ambientale, sempre meno credibili. Italia Nostra c’è, ma per crescere e consolidarsi ha bisogno del supporto della cittadinanza, del confronto con le associazioni che difendono la natura, del dialogo con le categorie imprenditoriali e con le istituzioni. Sessant’anni d’esperienza sono un valore, un patrimonio che