L'intervista
mercoledì 1 Novembre, 2023
di Alberto Folgheraiter
Cremati, abbandonati e dimenticati. Centinaia di urne, con i resti mortali di defunti trentini, sono sistemate sui ripiani all’interno di una stanza, tra le camere mortuarie del cimitero di Trento, dove giacciono le salme in attesa del funerale. Sono lì da molti mesi, perfino da qualche anno, senza che nessuno dei congiunti si sia preso cura di prendere in concessione un loculo, portare l’urna a casa (oggi è consentito) o, perfino, spargerne le ceneri al vento. Come taluni hanno lasciato scritto nelle «ultime volontà».
Nel dì di Ognissanti si ricordano i defunti. Le visite ai cimiteri, i fiori sulle tombe, i lumini nella notte. Tutto concorre a rammentare, una volta l’anno, figure care, congiunti e amici passati oltre la soglia del tempo. Perché tutte quelle urne cinerarie abbandonate in uno stanzino del cimitero?
Joseph Tassone, 43 anni, nato in Francia, laureato in giurisprudenza ed esame di avvocato a Messina, vissuto in Calabria, è il capo ufficio dei servizi funerari del comune di Trento che deve gestire 21 cimiteri. Della città e dei sobborghi.
Lei è a contatto con la morte e, pertanto, con il dolore dei congiunti, tutti i giorni dell’anno. Non è un bel mestiere, no?
«È bellissimo».
Esagerato.
«Nel senso che la morte non la crei tu, però, in un assetto pubblico, puoi fare qualcosa che è servizio. Immediato».
L’antitesi della lentezza burocratica…
«Vedi le persone sollevate dal non doversi occupare dell’incombenza quotidiana. Insomma, essere più liberi di star male. Diamo loro un sollievo».
C’è una branca della medicina, la tanatologia, che studia la morte…
«Nei nostri uffici abbiamo una formazione amministrativa. Il resto ci viene dalla sensibilità personale, dall’esperienza quotidiana a contatto con la morte, con il dolore dei familiari, degli amici».
Non è un mestiere facile, ad ogni modo. Il rischio del coinvolgimento, della depressione, è in agguato, crediamo. O no?
«Negli anni abbiamo avuto anche delle assistenze psicologiche. Non è tanto il contatto con la morte, perché quella ti aggredisce di suo. È fare in modo che la morte degli altri ti coinvolga senza che ti porti con sé».
Professionisti professionali.
«Certo, perché altrimenti, al secondo servizio della giornata sei già ko del primo».
C’è la morte di qualche persona che coinvolge più di altre?
«Sì, certo. Non faccio nomi, perché ogni defunto si lascia dietro una famiglia. Ci sono persone che, raramente, ti coinvolgono di più. Raramente, perché abbiamo imparato che per dare il meglio dobbiamo restare fermi sulla soglia del dolore. E tendere la mano. Non passare noi dall’altra parte».
Però qualcuno c’è.
«Certo. Raramente, ma c’è. Ci accompagna a casa, ci accompagna nei sogni… E poi ci sono i parenti che tornano, che incontri per strada, che ti salutano e ti ringraziano anche. Che per un funzionario pubblico non è così scontato».
Va detto, peraltro, che il servizio funerario del comune di Trento è un’eccellenza nazionale. Non solo perché serve a calmierare il costo delle pompe funebri, ma anche per il supporto dato ai congiunti disorientati.
«Noi prendiamo in carico l’evento morte, quando si verifica, e lo concludiamo, se i familiari ce ne danno mandato, con la sepoltura».
Tutto compreso: dal trapasso alla tomba.
«Proprio così. E in ragione della vocazione pubblica, a prezzi calmierati».
Da due anni, anche presso il cimitero monumentale di Trento, sono entrati in esercizio due forni crematori. Si è posto fine al mesto pellegrinaggio bisettimanale delle bare verso il Veneto e la Lombardia?
«Assolutamente sì, completamente. Noi garantiamo dodici cremazioni al giorno. Arrivano defunti da tutta la provincia».
Quanti sono coloro che preferiscono la cremazione alla fossa o al loculo?
«La media ponderata, negli anni, è del 72%. L’ultimo trimestre è del 74%».
Perché un picco tanto elevato?
«Il fenomeno si è costruito negli anni. Il defunto viene portato a cenere in brevissimo tempo. E poi per esigenze, è spiacevole dirlo, di praticità: non espone il familiare al pietoso rito della sepoltura ma anche del doversene occupare dopo. E poi c’è l’esumazione, altro passaggio non proprio gradevole».
Di solito, le ceneri restano al cimitero. Ma c’è anche qualcuno che le porta a casa e le tiene sul comodino, o, perfino, chi le vuole sparse in un luogo caro da vivo.
«È un fenomeno in aumento. Tuttavia non sono numeri tanto elevati. Mi verrebbe da pensare che con la cremazione è tutto più immediato. Paradossalmente segue quel concetto di dimenticanza».
Archiviamo la morte perché la vita continua. A proposito di oblio, nella zona delle camere mortuarie del cimitero di Trento ci sono un paio di stanze piene di urne con le ceneri di defunti. Abbandonati.
«In una ci sono le urne recenti, tra le 80 e le 100, in attesa di tumulazione o di partenza. Nell’altra stanza abbiamo 230 urne che stanno lì da molto tempo perché i parenti non le hanno reclamate. Altre 300 le abbiamo tumulate d’ufficio nel corso degli ultimi anni».
Impressionante.
«Ci sono le esumazioni, ne facciamo 2-300 l’anno, e la maggior parte dei resti viene cremata. In questo contesto ci sono parenti che non chiedono l’urna con le ceneri. La maggior parte delle urne “dimenticate” si riferisce a defunti per i quali era stata chiesta la cremazione e poi nessuno si è curato della sepoltura o di ritirare l’urna cineraria».
Il deposito per abbandono viene fatto pagare ai familiari?
«Altre amministrazioni fanno pagare 100 euro, noi nulla».
La richiesta di una pigione potrebbe far tornare la memoria agli smemorati?
«Non è detto. Nelle prossime settimane invieremo una lettera raccomandata ai familiari di tutti quei defunti in attesa di destinazione. Chiederemo loro che cosa hanno intenzione di fare. Dopodiché, in mancanza di riscontro, provvederemo al conferimento nel cinerario comune».
La scorsa settimana, al cimitero di Trento, è stato inaugurato il «giardino delle rimembranze». Un prato dove, chi vuole, può spargere le ceneri del congiunto. Sempre che se ne ricordi. E qui torna il Foscolo, con i suoi «Sepolcri»: «Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha nell’urna».