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lunedì 22 Luglio, 2024

Kamala Harris verso la candidatura: «Farò di tutto per conquistare la nomination e battere Trump»

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Ma cosa succede ora nel campo democratico dopo il ritiro di Biden? Ecco gli scenari possibili

Kamala Harris ha saputo solamente ieri della decisione di Joe Biden di ritirarsi dalla corsa per la rielezione.

«Sono onorata di avere l’endorsement del presidente ed è mia intenzione guadagnarmi e vincere questa nomination». Ha affermato in una nota la vice presidente, poco più di due ore dopo l’annuncio del ritiro di Biden dalla corsa alla Casa Bianca, promettendo di lavorare per «unire il Partito democratico e unire la nostra nazione per sconfiggere Donald Trump».

Ma cosa succederà ora?

Con il presidente Joe Biden che ha messo fine alla sua corsa per la rielezione e ha appoggiato la vicepresidente Kamala Harris, il partito democratico deve ora affrontare un cambiamento senza precedenti in un anno elettorale. I Democratici terranno la loro convention a Chicago dal 19 al 22 agosto. Quella che doveva essere un’incoronazione per Biden diventa ora una gara aperta in cui quasi 4.700 delegati avranno la responsabilità di scegliere un nuovo portabandiera per sfidare il candidato repubblicano Donald Trump in autunno. La strada da percorrere non è né facile né ovvia, anche se Biden ha appoggiato Harris. Ci sono domande irrisolte sulla logistica, sul denaro e sulle conseguenze politiche. All’inizio dell’anno Biden aveva vinto tutte le primarie e i caucus statali, perdendo solo il territorio delle Samoa Americane. Almeno 3.896 delegati si erano impegnati a sostenerlo. Le attuali regole del partito non consentono a Biden di passarli a un altro candidato. Dal punto di vista politico, però, è probabile che il suo appoggio sia influente. Con Biden che si è fatto da parte, i Democratici iniziano tecnicamente con una convention aperta ma realisticamente il suo appoggio a Harris spinge i Democratici in un territorio scivoloso. L’onere immediato è per Harris di consolidare il sostegno dei quasi 4mila delegati oltre a più di 700 cosiddetti super-delegati che includono leader di partito, alcuni funzionari eletti ed ex presidenti e vicepresidenti. Già prima che Biden annunciasse la sua decisione, i democratici avevano indicato il governatore della California Gavin Newsom e la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer come potenziali contendenti oltre ad Harris. Tuttavia, alcuni democratici hanno sostenuto pubblicamente, e molti in privato, che sarebbe stato facile candidare la prima donna di colore e la prima persona di origine sud-asiatica a ricoprire la carica di presidente. Data l’importanza che gli elettori di colore – in particolare le donne – hanno avuto per la nomina di Biden e per la scelta di Harris come compagna di corsa, sarebbe stato a dir poco rischioso per i democratici rinunciare a lei per un candidato bianco. Quanto al denaro raccolto la campagna di Biden ha recentemente dichiarato 91 milioni di dollari in contanti. I comitati elettorali democratici alleati hanno portato il totale a sua disposizione a più di 240 milioni di dollari. Gli esperti di finanza delle campagne elettorali concordano sul fatto che Harris potrebbe controllare tutti questi fondi, dal momento che la campagna è stata creata a suo nome e a nome di Biden. Se i Democratici dovessero candidare qualcuno diverso da Harris, i conti del partito potrebbero comunque andare a beneficio del candidato, ma il conto Biden-Harris avrebbe maggiori restrizioni. Ad esempio, secondo gli esperti legali, potrebbe diventare un comitato d’azione politica con spese indipendenti, ma non potrebbe semplicemente trasferire il suo saldo a un altro candidato. Sulla nomina del vicepresidente invece è sempre oggetto di una votazione separata. In situazione ‘di routine’ la convention ratifica la scelta del candidato. Se la Harris serrasse i ranghi rapidamente, potrebbe indicare la sua scelta e farla ratificare dai delegati. In una contesa prolungata, tuttavia, la vicepresidenza potrebbe diventare parte di una contrattazione. In ogni caso si attendono una raffica di cause statali e federali, e alcuni conservatori hanno minacciato proprio questo. Le leggi statali, tuttavia, di solito non prescrivono come i partiti scelgono i loro candidati alla presidenza.