L'intervista
sabato 6 Maggio, 2023
di Gabriele Stanga
Uno Jedi come alfiere della musica elettronica. Lui è Kenobit (il nome d’arte deriva da Obi Wan Kenobi, personaggio chiave della saga di Star Wars) e il game boy è la sua spada laser. Attraverso di esso, Fabio Bortolotti, vero nome del producer, ha tracciato il suo percorso artistico, a cavallo tra la fascinazione per le sonorità e l’estetica legate alle console, ed un’impavida lotta al capitalismo. Quello della chiptune, genere musicale che sfrutta, appunto, i chip di computer e console, ai fini di creare le proprie melodie, è un approccio estremamente punk al mondo dell’arte e alle sue problematiche, a cominciare da quelle economiche. Infatti, a fronte di spese da migliaia di euro per procurarsi strumentazione di grido, musicisti come Bortolotti, hanno preferito dare una vita nuova alla loro attrezzatura videoludica. Sarebbe, però, un errore pensare che si tratti puramente di una questione etica. La micromusic (altro nome con cui è conosciuta la chiptune) nasce prima di tutto dall’amore per il suono ruvido e assai caratteristico dei videogame di vecchia generazione, in contrasto con la sofisticazione esasperata di Idm, techno ed elettronica contemporanea. A questo si affianca un discorso di capillarità e diffusione dell’arte. Come il punk, contrapponendosi al progressive rock, carico di virtuosismi, spronava a mettersi in gioco e liberare la propria creatività nuda e cruda, senza bisogno di orpelli e tecnicismi, così non è neppure necessario dissanguare le proprie finanze per dedicarsi alla composizione. Come a dire che la musica appartiene al popolo, non soltanto ai più ricchi. A chiunque abbia qualcosa da dire attraverso di essa e non soltanto a coloro che possono permettersi di investire grandi somme. Tutto ciò, senza contare l’elemento ecologico. Kenobit ci ha parlato di tutto questo e di altri aspetti, in attesa di incontrarlo al Wired Next Fest, che lo vedrà in scena dalle ore 18 alle 18:30 di Domenica 7 maggio, presso il Palazzo Del Bene di Rovereto.
Insomma, com’è nata l’idea della chiptune?
«Diciamo che il tutto è iniziato dal forte imprinting che proviene dal mondo del gaming e dall’influenza che ha esercitato sulla mia generazione. A ciò si lega la scoperta di programmi che consentivano di rielaborare la musica prodotta dai chip delle vecchie console anni 90. Così, io ed altri abbiamo provato a recuperare dette console ed utilizzarle per suonare. Il game boy, tra l’altro, ha un suono potentissimo, semplice e molto interessante, in grado di parlare a diverse generazioni. È uno strumento assai più diretto rispetto a quelli utilizzati abitualmente».
C’è poi anche una dimensione economica.
«Di certo il discorso sul consumismo è quello più impattante. L’industria della musica elettronica ha dei costi elevatissimi. Invece di spendere 2000 euro o più per comprare dei sintetizzatori, abbiamo scelto di riciclare strumenti videoludici che quasi tutti avevamo a disposizione, dando loro una veste nuova. È stato un moto simile a quello del punk, sia per quanto riguarda il sound sporco e grezzo che per quanto riguarda i contenuti».
Il punk ha segnato molto la sua produzione?
«Sì, mi sono formato con l’hardcore italiano: penso ai Sottopressione, i Negazione e simili. Nasco come batterista, poi mi sono spostato gradualmente verso altri generi. In ambito elettronico, dalla goa trance anni 90, per poi arrivare ad apprezzarne tutte le sfaccettature: dai Kraftwerk alla Yellow Magic orchestra, gli Atari Teenage Riot e la tekno con la kappa».
Quanto è difficile fare musica partendo da un chip?
«Bisogna dedicarci del tempo ma è molto più fattibile di quanto si creda. Conosco sia persone che avevano già una preparazione musicale pregressa, come me o Starving Gogo (Flavio Bissolati producer di Cremona), sia ragazzi che hanno mosso i loro primi passi proprio con la micromusic. Credo in un mondo in cui ci sia più arte per tutti e in cui tutti possano fare arte».
C’è differenza quando si parla di chiptune e micromusic o sono sinonimi?
«Il nome micromusic nasce da un sito storico, appunto micromusic.net, sul quale io ed altri ci confrontavamo e ci informavamo su come scrivere questo tipo di musica. Stiamo parlando del 2008, e dell’internet 1.0, in piena era Facebook. Oggi il portale e pagine correlate esistono ancora ma sono inattivi. Il termine chiptune, invece, è più legato alla scena demo e alle musichette dei software crackati. Entrambi sono corretti e possono essere utilizzati indifferentemente, per quanto mi riguarda. Preferisco micromusic per una semplice questione affettiva».
Qual è il pezzo di cui va più fiero?
«Ce n’è uno con il quale chiudo sempre i miei concerti che è Fuga in chip minore».
Si affida a Soundreef per la gestione delle tue royalties. Come mai questa scelta?
«Personalmente non credo nel copyright e ancor meno nella SIAE. Ho una visione assai critica del diritto d’autore e sono per la sua abolizione».
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