Sanità
giovedì 1 Dicembre, 2022
di Tommaso Di Giannantonio
Un contratto scaduto da 16 anni. Un accordo con la Provincia che si è rivelato carta straccia. E condizioni di lavoro peggiori rispetto al resto dell’Italia: a Roma, nel frattempo, sono andati avanti, mentre in Trentino è ancora tutto fermo. Il che sta provocando un effetto a catena. «Turni massacranti, turnover eccessivo, liste di attesa compresse (più prestazioni in meno tempo), non possono che portare al disservizio e alla fuga dei medici». Per tutti questi motivi ieri mattina, in maniera compatta, l’intera intersindacale medica (in rappresentanza dei 1.200 dirigenti medici e veterinari dell’azienda sanitaria) ha organizzato una conferenza stampa per chiedere a gran voce il rinnovo del contratto provinciale.
Da più di un anno ha fatto questa richiesta, ma la Provincia non ha mai risposto. «Non è all’ordine del giorno», ci dicevano quando ci trovavamo a discutere anche di altre questioni. Ora, a dire il vero, pare che Piazza Dante abbia aperto uno spiraglio. «Dovrebbero presentarci un documento la prossima settimana», hanno spiegato i rappresentanti sindacali. Non vogliono illudersi però. E l’ipotesi sciopero, nel caso in cui non si dovesse arrivare ad una soluzione, si è fatta concreta. «Non ci sentiamo più bene a casa nostra», questo il clima.
Ieri la conferenza stampa coincideva con l’ultima delle assemblee organizzate in queste ultime settimane negli ospedali trentini. «Difficilmente la nostra categoria si fa sentire con queste modalità, ma in questo momento crediamo che la difesa del contratto sia un punto di partenza ineludibile per la difesa del sistema sanitario pubblico e dei nostri pazienti», ha detto Sonia Brugnara, segretaria provinciale di Cimo (Coordinamento italiano medici ospedalieri). Prima di essere rappresentanti sindacali, sono quasi tutti medici in corsia. «E vi assicuriamo che se la situazione non cambia, la provincia di Trento, da virtuosa e appetibile, rischia di mantenere un contratto che i colleghi vorrebbero non sottoscrivere più — ha reso l’idea Brugnara — Da quasi due anni stiamo chiedendo di adeguare il contratto provinciale a quello nazionale, che nel frattempo è diventato più appetibile. Perché? Perché ci sentiamo in dovere di salvare il sistema sanitario da possibili fughe di colleghi verso il privato o verso altre regioni».
Verso contratti meno datati. Quello provinciale è fermo al 2006. «Questo già dice quanto possa essere anacronistico l’impianto normativo che regola il funzionamento della nostra azienda — ha commentato il coordinatore di Fassid, Giorgio Temporin, che ha fatto una breve cronistoria — Nei due bienni successivi abbiamo avuto l’adeguamento economico. Dal 2010, poi, c’è stato il blocco della contrattazione con il decreto Monti. Nel 2015 è ripresa dopo l’intervento della Corte costituzionale». E subito dopo si era arrivati ad un accordo stralcio con la Provincia per il triennio 2016-2018. Stralcio, nel senso che era stato siglato in attesa del nuovo contratto nazionale, quindi provvisorio. E «in quell’accordo era esplicitamente previsto che, una volta rinnovato il contratto a Roma, avremmo chiuso il nostro». E invece, il contratto nazionale è stato rinnovato (nel 2019) ma quello provinciale, appunto, non è stato più toccato.
Ora, per protesta, i medici sono pronti anche a ridurre l’orario effettivo (42 ore) a quello previsto da contratto, cioè 38 ore settimanali. «Il contratto è lo strumento base che consente l’espressione della professionalità e delle condizioni di lavoro, quindi qualità di vita, carriera e incrementi», ha concluso Temporin a nome di tutte le sigle: Aaroi Emac, Anaao Assomed, Anpo Ascoti Fials Medici, Cimo, Fassid-Fvm, Fp Cgil e Uil Fpl.