L'intervista
venerdì 26 Luglio, 2024
di Lorenzo Fabiano
Un passato da azzurro di sci, negli anni del tramonto della Valanga Azzurra in cui salì tre volte sul podio della Coppa del Mondo (uno in un Parallelo di Natale a dicembre del 1978 a Madonna di Campiglio quando arrivò secondo alle spalle della leggenda Ingemar Stenmark), fece un quinto posto in slalom ai mondial del 1978 a Garmisch-Partenkirchen e prese poi parte ai Giochi Olimpici invernali di Lake Placid nel 1980; nato e cresciuto a Selva di Val Gardena, Mauro Bernardi da quarant’anni è una stimatissima e ricercatissima guida alpina: ha aperto 25 nuove vie sulle Dolomiti e ha scalato in Himalaya l’Ama Dablam (6857 m) e nella Cordillera Blanca in Perù l’Alpamayo (5947 metri). Ha scritto articoli su riviste specializzate come «Alp» e «La Rivista del Cai» e ha pubblicato cinque guide alpinistiche di grande successo. Il video virale dei due adulti sulla ferrata Bepi Zac senza attrezzatura coi bambini, un piccolo con la mamma e una neonata tra le braccia del padre, che ha fatto il giro del web qualche giorno fa, non ha certo lasciato indifferente un uomo come lui che la cultura della montagna ce l’ha nell’anima.
Bernardi, il primo pensiero che ha fatto quando ha visto quel video?
«Che c’è gente senza cervello. Purtroppo, queste cose son sempre successe».
Ma come è possibile una cosa del genere?
«In montagna non c’è alcuna regola, ognuno è libero di andare come vuole, sono affari suoi ma deve poi prendersi le sue responsabilità. Le regole non ci sono, ma esiste il buonsenso. Sarebbe sufficiente il buonsenso».
Un patentino per le ferrate come lo vedrebbe?
«Potrebbe starci, ma poi bisognerebbe suddividere le ferrate per categorie. Servirebbero quindi i controlli, ma chi li fa? Non so se si possa fare una cosa del genere, le ferrate sono una moda ormai, tantissima gente le fa. Mettere un patentino obbligatorio… mah… il 70% è gente che sa cosa fare su una ferrata, il problema è il restante 30%, gente che oltre a mettere in pericolo la propria incolumità, mette a rischio anche quella degli altri».
I tre criteri base per la sicurezza in montagna?
«Primo, tenere sempre sotto controllo le condizioni del meteo; secondo, l’attrezzatura adeguata; terzo, sapere sempre cosa si vuol fare e capire se si è all’altezza. Suono buone norme, figlie del buonsenso e non del codice civile. Se non ti senti abbastanza sicuro, puoi sempre rivolgerti agli esperti, le guide alpine».
Detto da lei, che fa la guida alpina di quarant’anni…
«Ho smesso di gareggiare nello sci nel 1981, dal 1984 sono guida alpina, da tanti anni in autonomia attraverso un mio sito con base a Selva d Valgardena».
Oltre alla sicurezza, in montagna un altro problema è il sovraffollamento. La chiusura dei Passi dolomitici è sempre una questione aperta. Che ne pensa?
«È una questione difficile da risolvere; la politica dovrebbe trovare le soluzioni, ma non lo fa. Secondo me, per prima cosa bisognerebbe attuare un servizio di trasporto pubblico su e giù dai Passi con autobus più piccoli, anche elettrici, rispetto agli attuali che sono la maggior causa di ingorgo. Con autobus di taglia ridotta, le cose migliorerebbero. Un altro problema è l’inquinamento acustico; io non ho nulla contro i motociclisti, ma per circolare sui Passi dolomitici dovrebbero essere obbligati a dotarsi di un silenziatore da applicare agli scarichi. In talune località in Austria hanno posto un limite ai decibel, ma da noi non si fa nulla. Eppure, non sarebbe così difficile; se vuoi girare sulle Dolomiti ti compri il silenziatore e lo metti sulla tua moto, altrimenti vai da un’altra parte. Semplice, no?».
A proposito di inquinamento in montagna, nemmeno l’Himalaya, dove lei ha scalato, se la passa tanto bene. La gestione dei rifiuti lasciati dagli alpinisti è un problema.
«A quelle altitudini, non è facile andare fin lassù a ripulire. Noi, sulla Dolomiti questo problema non l’abbiamo».
Sulle Dolomiti i problemi sono altri.
«Come le dicevo, il vero problema è la politica, perché è la politica che deve trovare delle soluzioni, e invece non le trova. Sono quarant’anni che noi ci lamentiamo, ma nessuno ci ascolta».