Il report
martedì 29 Novembre, 2022
di Tommaso Di Giannantonio
Dalla finestra della nostra camera o del nostro ufficio la montagna di «casa» ci sembra sempre uguale. Con le sue creste e i suoi spigoli. Come se fosse immutabile, impermeabile al tempo della quotidianità. Ma non è così. «Le Alpi, quindi il Trentino, hanno subito e stanno subendo ancora oggi una evoluzione geomorfologica attiva da una dozzina di migliaia di anni, se consideriamo solo il periodo post-glaciale». In altre parole, «il nostro territorio è continuamente sottoposto all’erosione da pioggia, neve, ghiaccio o terremoti: spesso questo cambiamento non lo vediamo, altre volte, purtroppo, ce ne accorgiamo perché si verificano frane che coinvolgono strutture e persone». Come è avvenuto pochi giorni fa a Ischia, un’isola martoriata dai disastri ambientali. Di eventi franosi «principali» — cioè che causano morti, feriti, evacuati e danni — in Italia se ne registrano un centinaio ogni anno. Negli ultimi dieci, tra il 2010 e il 2020, la provincia di Trento è stata tra le più colpite con oltre 40 eventi. «Alla luce anche dei cambiamenti climatici è arrivato il momento di censire e verificare gli interventi di messa in sicurezza», osserva Mirko Demozzi, presidente dell’Ordine dei geologi del Trentino-Alto Adige.
Il Trentino tra i più vulnerabili
Il Trentino è infatti uno dei territori più esposti al fenomeno delle frane. Dietro solo alla Valle d’Aosta e davanti a Campania e Toscana. Il 64,9 per cento della superficie provinciale — così come si legge nell’ultimo rapporto di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) — è classificato a «pericolosità da frana»: un terzo nella fascia elevata e molto elevata. Ciò significa che la probabilità di fenomeni potenzialmente distruttivi è tra le più alte d’Italia. Ovviamente incide la caratterizzazione morfologica del territorio: dove ci sono rilievi montuosi aumenta la probabilità di frane. Quanti sono i trentini che abitano in queste aree? Quasi centosedicimila, ossia il 22,1 per cento della popolazione. La maggior parte nelle fasce più basse di pericolosità. Sono invece quasi 40 mila (il 27,2 per cento del totale) gli edifici collocati nelle aree rosse.
Che siano case o altri edifici, per qualsiasi tipo di costruzione esiste una «carta della pericolosità» che impone determinati vincoli e interventi di prevenzione a seconda del livello di pericolosità.
Tra le cause il climate change
Come anticipato, specialmente in territori come il Trentino o la Valle d’Aosta, si deve tener conto di una naturale propensione al dissesto idrogeologico. Tuttavia l’Ispra individua altri tre macro-fattori che dipendono più o meno direttamente dall’uomo. «L’incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire
dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale, ha portato a un considerevole aumento degli elementi esposti a rischio, ovvero di beni e persone presenti in aree soggette a pericolosità per frane e alluvioni». E allo stesso tempo «l’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha determinato un mancato presidio e manutenzione del territorio». Per ultimo «i cambiamenti climatici in atto stanno inoltre determinando un aumento della frequenza degli eventi pluviometrici intensi e, come conseguenza, un aumento della frequenza delle frane superficiali, delle colate detritiche e delle piene rapide e improvvise», si legge nell’ultima edizione (2021) di Ispra sul dissesto idrogeologico in Italia.
L’esperto: ecco come adattarsi
«Senz’altro — conferma Mirko Demozzi, presidente dell’Ordine dei geologi del Trentino-Alto Adige — un fenomeno meteorologico intenso va ad erodere in maniera più accentuata i terreni e le pareti rocciose, a favore, quindi, dell’evoluzione morfologica». A maggior ragione, dunque, alla luce dei cambiamenti climatici, «è necessario un aggiornamento continuo, non solo della carta della pericolosità, ma anche di tutte le opere di messa in sicurezza, dalle opere di difesa da caduta massi agli interventi di regimazione dei corsi d’acqua. Le prime barriere di paramassi sono state costruite 30 o 40 anni fa: sono adeguate all’attuale evoluzione geomorfologica? — è l’interrogativo che Demozzi pone alla base del suo ragionamento — Come Ordine professionale abbiamo chiesto alla Provincia di lavorare in questa direzione». Si chiede sostanzialmente di mappare tutti gli interventi di mitigazione, volti cioè alla prevenzione di dissesti idrogeologici. «Al momento, infatti, non ci risulta che ci sia una cartografia di questo tipo. Bolzano — aggiunge — è già partita con questa operazione per gli interventi di paramassi». Dopo prevenzione, la seconda parola d’ordine è «pianificazione». «È evidente che non si possono pianificare costruzioni in un alveo o sotto una parete rocciosa — premette il geologo — E sulla parte urbanistica sia in Trentino che in Alto Adige siamo un’area “felice” perché lo sviluppo edilizio è fortemente frenato dalle carte della pericolosità, che segnalano le varie difficoltà e impongono studi approfonditi per ogni tipo di costruzione».
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