Storie
venerdì 31 Gennaio, 2025
«La mia seconda vita dopo il trapianto di polmoni»: la storia di Pamela Alovisi, rinata dalla LAM
di Anna Maria Eccli
Viva grazie al sospetto di una Guardia medica, oggi racconta: «Dolorosa gratitudine verso l'uomo che mi permette di respirare»
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Era il 24 novembre 2024 quando sulla torta di compleanno brillava una candelina su cui soffiare, sebbene Pamela Alovisi di primavere ne avesse già vissute 41. Questa giovane donna di Volano, vivace, sportiva, intraprendente, impegnata nel sociale è assurta agli onori della cronaca per il prodigioso intervento chirurgico con cui, poco più di un anno fa, le sono stati installati nel petto due polmoni nuovi. Straordinaria la ripresa: è tornata a pedalare sulla sua amata bici, a risalire le pendici dello Stivo, o del Baldo, dopo 14 anni di vita castigata, trascorsa tra lettini d’ospedale e bombole d’ossigeno. La malattia rara che all’improvviso le aveva capovolto l’esistenza si chiama LAM, linfangioleiomiomatosi: un proliferare di cellule muscolari lisce che progressivamente invade e distrugge i polmoni. Non c’è ancora cura e la stessa origine della patologia è sconosciuta.
Un diploma al Liceo Filzi, laurea triennale a Verona in Scienze dell’Educazione, laurea magistrale a Bressanone in Scienze della Formazione, entusiasmo a carri per un lavoro nella scuola d’infanzia tanto desiderato e portato avanti fino al 2021 quando dai bambini si dovette presentare con zainetto e ossigeno sulle spalle. L’indole è tenace, però, e nemmeno la patologia la vince; si batte con forza e ottimismo, come una leonessa, assieme ai medici che l’hanno seguita e all’alleanza d’una famiglia compatta che ha saputo trovare le energie per accompagnarla verso una nuova vita, dopo il trapianto di entrambi i polmoni. E a salutarla, all’ingresso della sua seconda vita, c’era il campione mondiale di moto GP Francesco Bagnaia che a Natale le ha mandato un video benaugurante di cui va orgogliosissima.
Pamela quando e come è iniziato tutto?
Nel 2008, avevo 25 anni; il 19 giugno pomeriggio, mentre sorvegliavo la “nanna” dei bimbi, nell’asilo Brione, sentii un forte dolore trafiggermi la schiena. Più mi muovevo più aumentava, così decisi di andare alla Guardia Medica. Lì trovai un dottore giovanissimo che, ascoltandomi, decise di farmi fare subito una lastra. Scoprii così cosa fosse uno pneumotorace: presenza d’aria tra polmone e pleura che porta al collasso dell’organo. L’unica maniera per rifarlo espandere è inserire un drenaggio toracico, ma dopo 5 giorni gli esiti non erano positivi, così decisero di operare chirurgicamente e fu lì che i medici si accorsero che c’era qualcosa di strano.
Vale a dire?
I miei polmoni erano ricoperti di bollicine, seguì esame istologico e a metà luglio arrivò la diagnosi di linfangioleiomiomatosi, malattia rara polmonare. Non riuscivo neanche a leggerlo, quel nome. Da lì iniziai ad essere in ospedale con uno pneumotorace ogni tre mesi. In tutto ne ho fatti 11. Ad Arco facevo esami funzionali, spirometria, emogas, test del cammino… era importante monitorare la situazione perché questa malattia causa delle cicatrici sul tessuto polmonare riducendo sempre più la capacità di espansione. Per fortuna nel 2015 mi fecero un’operazione importante al Negrar, incollando tra loro polmone e pleura. Questo mi garantì qualche anno di grazia, ma la malattia incombeva e nel marzo 2019 arrivò il fatidico ossigeno.
Altra sterzata.
Sì, una vita attaccata al tubicino. Quando devi girare trascinandoti appresso una bombola d’ossigeno della durata di sette/otto ore, devi calcolare tutto ciò che fai. Devi gestire la giornata tenendo sempre sotto occhio l’orologio, calcolare quanto devi camminare, quale consumo di ossigeno ci sarà… Rinunci alla gita in montagna, al bar per non contrarre infezioni, a visitare gli amici che abitano al quarto piano, a quelli che hanno bambini piccoli… Nel 2021 una bella notizia: il concorso grazie al quale non sarei stata più precaria nella scuola. Ma i conti senza l’oste non vanno mai fatti e l’oste fu un bel carcinoma al seno diagnosticato nel luglio di quell’anno. Mancava giusto quello. Mi hanno operata a Trento in settembre, prendendomi in carico con un’equipe creata apposta; mastectomia bilaterale e chemio massiccia fino a febbraio 2022. Ma a quel punto il polmone sinistro si rimise a fare le bizze e ho dovuto tenere per 3 mesi il drenaggio toracico. Finalmente il 16 dicembre 2022 il Policlinico di Milano mi mette in lista e inizia la ricerca degli organi.
Come ha vissuto il momento della chiamata?
Ero pronta perché nei lunghi anni di malattia ho avuto una seconda famiglia, l’AILAM odv, l’associazione di riferimento per chi ha la linfangioleiomiomatosi, che mi aveva aiutato ad accettare l’idea del trapianto, verso il quale avevo veramente paura. Dunque, avevo già la valigia pronta, cellulare sempre acceso e, grazie al Centro di coordinamento del 112, un’ambulanza sempre pronta a portarmi a Milano. Fino alla sera del 25 novembre ’23 quando da Milano mi avvisano di avere trovato la compatibilità che cercavamo. Erano le 18.30 e alle 22.30 ero già al Policlinico.
Dunque, lei rinasce a Milano il 26 novembre 2023.
Sì, dopo 11 ore di operazione e 4 di post, ero già sveglia e stubata, respiravo da sola! Erano veramente tutti stupiti di come il corpo reagiva e siccome era una domenica di mondiale di moto GP, di cui sono appassionata, il giorno dopo ho chiesto subito chi avesse vinto: Pecco Bagnaia su Ducati, ero felice.
Francesco Bagnaia le ha mandato anche un video…
Merito di una catena di fisioterapisti, la mia storia era arrivata fino a lui. Quando mi ha mandato il video con i suoi saluti, a Natale, per poco non mi è venuto un infarto per l’emozione.
Oggi lei è presidente dell’AILAM.
Sì, l’associazione è impegnata nel fare manifestazioni e mercatini per raccogliere fondi perché dal 2007 finanziamo la ricerca scientifica affinché si arrivi a trovare una terapia. Anzi, chi volesse contribuire con donazioni, l’IBAN è: IT 12 W 08305 35820 00000057917.
Che rapporto ha avuto con la paura?
Nessun rapporto, se non all’inizio, pensando a un trapianto, e per gli ultimi due drenaggi, i più rischiosi, sotto guida della Tac per trovare il punto d’accesso preciso perché ormai i miei polmoni, poverini, erano al limite. Lì il fondo l’ho toccato, ma poi mi sono detta “risaliamo”.
Dove ha trovato tanta forza?
Ce l’ho di carattere. Sin da piccolina ho sempre accettato tutto con forza, dalle piccole delusioni a una malattia del genere. Siamo noi a decidere come vivere le disgrazie e io non volevo lasciarmi sopraffare. Penso anche che le prove forti arrivino ai forti; io sono credente, mi hanno aiutato la fede, la mia famiglia, gli amici.
A ben vedere a salvarle la vita è stato un giovane medico neolaureato che nel 2008 era di servizio in Guardia Medica.
Sì, se mi guardo indietro posso dire di essere stata fortunata.
Cosa le ha insegnato una vita così intensa?
Direi che ho imparato a godere delle piccole cose. Sono rinata e mi sento come una bambina nel rifare le cose di un tempo; pedalare, risalire sullo Stivo, sull’Altissimo, nuotare… Poi penso anche all’uomo i cui polmoni ora fanno respirare me. Queste sono le uniche notizie che ho potuto avere di lui: maschio, di 50 anni. Penso alla sua famiglia e provo dolorosa gratitudine.
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