la storia

martedì 4 Febbraio, 2025

La nascita, i rapporti con l’America, la ricerca: i 45 anni della Fondazione Pezcoller

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In occasione della Giornata mondiale contro il cancro che si celebra oggi, 4 febbraio, la Fondazione ha scelto di raccontarsi in un incontro alla presenza di molti dei volti storici che l'hanno accompagnata

Dall’intuizione di un medico trentino dalla vita quasi ascetica – sconfiggere i mali che affliggono l’umanità a partire dalla ricerca di base – è iniziato il lungo percorso della Fondazione Pezcoller. Un cammino avviato in un Trentino più provinciale di quello di oggi, ma volenteroso, e che senza aver mai reciso le proprie origini, è arrivato ai vertici dell’oncologia mondiale.
Alla vigilia del suo quarantacinquesimo compleanno e in occasione della Giornata mondiale contro il cancro che si celebra oggi, 4 febbraio, la Fondazione ha scelto di raccontarsi a il T in un incontro alla presenza di molti dei volti storici che l’hanno accompagnata.
Il presidente Enzo Galligioni, il presidente emerito – oggi 102enne – Gios Bernardi, gli ex presidenti Pietro Monti e Davide Bassi e alcuni storici membri del cda (l’attuale presidente del consiglio comunale di Trento Paolo Piccoli, l’avvocato Paolo Stefenelli, l’imprenditrice Manuela Zanoni, intervenuta telefonicamente) hanno ripercorso le tappe fondamentali di questo cammino, hanno parlato delle sfide future sulla lunga strada per sconfiggere il cancro ma anche delle sinergie con il territorio.
L’intuizione di Pezcoller
A ripercorrere i primi anni è il medico Gios Bernardi. Presidente dal 2001 al 2011 e tutt’oggi, nonostante l’età, tra i più attivi sostenitori della fondazione, l’ha vista letteralmente nascere grazie alla collaborazione con il fondatore, il primario Alessio Pezcoller. Un personaggio particolare: «Viveva in ospedale, in una stanzetta vicino alla sala operatoria piena di cassette di mele che gli regalavano dalla Val di Non. Era un chirurgo che lavorava bene, perciò aveva guadagnato abbastanza. Noi un po’ lo criticavamo, lo consideravamo molto tirato», ricorda con un sorriso. «Ma non sapevamo ancora che avesse questa finalità meravigliosa: fare una grossa donazione di tutto quello che aveva guadagnato per realizzare un premio per sconfiggere le malattie più gravi dell’umanità». Un obiettivo ambizioso che decise di concentrare tutto sui tumori. Con una scelta non scontata: dedicarsi alla scelta di base, in particolare alla biologia molecolare e nella tumorigenesi cellulare. «Cosa che ci ha creato immediatamente un notevole numero di di nemici fra i medici, perché nessuno, non dico a Trento, ma neanche in Italia, era molto avanzato su questo filone», spiega Bernardi. «Negli anni ’80 – aggiunge il presidente Enzo Galligioni – le applicazioni mediche della biologia molecolare erano veramente degli albori. Puntare su quello fu una scelta vincente e coraggiosa, perché le maggiori scoperte sono venute da lì».
Da Veronesi all’America
All’inizio il percorso non fu facile. «A Trento non c’era la facoltà né una scuola di medicina, non era certo il luogo ideale in cui far sorgere una fondazione con intenti tanto ambiziosi», spiega Galligioni. Fondamentale fu il supporto fin da subito di personalità importanti, tra cui Umberto Veronesi, allora l’unico in Italia a fare ricerca a livelli altissimi su questi temi.
Oltre a lui, spiega, aveva aderito al comitato scientifico Enrico Mihich, illustre oncologo a Buffalo di origini italiane, ex presidente dell’Associazione americana di ricerca sul cancro (Aacr), la più importante organizzazione mondiale nel campo dell’oncologia. La sinergia con l’Aacr, diventato strutturale dal 1997 durante la presidenza di Pietro Monti, (il premio Pezcoller – Aacr è forse il più ambito tra quelli conferiti dall’organizzazione statunitense, e quattro tra quelli che l’hanno vinto sono stati in seguito insigniti del premio Nobel) è stata la prima di una serie di alleanze strategiche che hanno segnato il successo della Fondazione. A livello europeo, con l’Associazione europea di cancerologia (Eacr) e italiano, con la Società italiana di cancerologia (Sic). Oltre ai premi, Monti, la Fondazione ha intuito presto che doveva investire sui giovani tramite borse di studio e altre iniziative.
Ma come ha potuto una realtà nata periferica arrivare ai vertici della ricerca mondiale? Per Pietro Monti «a fare la differenza sono sempre le persone». Un rapporto di fiducia basato sulla serietà e su un modello lontano dalla mentalità del business. «Nessuna delle persone coinvolte ha mai guadagnato un dollaro dalle attività della Fondazione», ribadisce Galligioni.
Sinergie con la ricerca trentina
«Quando è nata la Fondazione, a Trento non c’era una controparte a livello di ricerca scientifica in questo ambito. Poi sono arrivati il CiBio, biologia, e quindi il primo nucleo di ricerca collegato anche alla ricerca oncologica, soprattutto di base», racconta Davide Bassi, fisico, ex rettore dell’università di Trento e presidente della Fondazione dal 2011 al 2016. «Gradualmente la Fondazione è così diventata una sorta di terza gamba dell’ateneo, con i suoi premi, le borse di studio, i simposi… Nel frattempo il nucleo di ricerca all’università è cresciuto notevolmente e trova nella fondazione una serie di sinergie». «I vincitori di tutti i premi, se vogliono il premio, devono venire a Trento, incontrando la comunità società civile o la comunità accademica e scientifica», aggiunge Galligioni, sottolineando l’importanza anche a livello clinico di avere in città uno scambio costante con la ricerca più avanzata.
Radicamento nel territorio
Se il Trentino riceve tanto, è anche perché dà tanto. Sia grazie al contributo fondamentale, sin dagli inizi, del credito locale – Caritro – e delle donazioni. «La Fondazione vive non solo grazie al patrimonio iniziale del fondatore, che era di 5-6 miliardi delle vecchie lire, ma delle donazioni successive, che non sono mancate neanche nei momenti di difficoltà», spiega Galligioni. A segnare una svolta, ricorda l’avvocato Paolo Stefenelli, quella della signorina Larcher Fogazzaro, che ha donato anche il palazzo in cui la Fondazione si sta per trasferire. «Il rapporto col territorio continua a crescere. A volte però noi trentini facciamo fatica a valorizzare fino in fondo le nostre eccellenze», aggiunge Paolo Piccoli, sottolineando che la prossima trasformazione in ente del terzo settore sarà un passo fondamentale. «Mi stupisce come, andando ai congressi all’estero, la fondazione sia conosciutissima. In Trentino non si conosce, dobbiamo diventare più bravi a comunicarlo», ribadisce Manuela Zanoni.
Nuova speranza
Negli anni, i ricercatori, molti dei quali premiati dalla Pezcoller, hanno fatto passi da gigante nella lotta al cancro «Prima parlare di cancro era praticamente impossibile, veniva nascosto, tutto al più veniva chiamato quel brutto male, quel male incurabile – commenta Galligioni – oggi è cambiato l’atteggiamento: la gente sa che non si può solo morire di cancro, si può vivere, si può guarire. E questo è il frutto dell’applicazione della ricerca».