L'OPINIONE
domenica 27 Novembre, 2022
di Paolo Ghezzi
Vista dal satellite, di notte, l’Ucraina è una macchia nera sopra la sagoma grigia del Mar Nero e sotto le luci brillanti di Mosca. Per quel pacifismo miope e metastorico secondo cui tutte le guerre fanno egualmente ribrezzo (inclusa quella contro Hitler?) e tutte le parti hanno egualmente torto e la resistenza italiana è sacrosanta ma quella ucraina è guerrafondaia, il conflitto Russia-Ucraina è una macchia nera in una notte nerissima.
In questa notte della ragione tutto è nero: al buio, le analisi non si fanno, non serve, è fatica sprecata distinguere le responsabilità di chi ha attaccato, invaso, stuprato, massacrato da quelle di chi ha deciso, in piena coscienza e in pieno diritto, di resistere all’aggressione militare, anche con le armi. Eppure, il report indipendente dell’Ohchr, Nazioni Unite, dal 24 febbraio al 2 ottobre, ha registrato 6.114 vittime civili (2.380 uomini, 1.633 bambini, 162 ragazze, 193 ragazzi, bambini e 1.711 adulti di genere non identificato). E 9.132 feriti. Tutti in territorio ucraino. Zero in terra russa.
Nelle nostre case europee illuminate e riscaldate, le lavoratrici ucraine ci dicono ogni sera, ascoltando i titoli dei telegiornali sulla pioggia dei missili russi, “Putin ci vuole tutti morti”. Che esagerazione, le consolavamo noi, prima dell’inizio della guerra. E poi, il 24 febbraio 2022, Putin ha cominciato l’operazione distruggi-Ucraina. E in queste settimane, bombardando sistematicamente le infrastrutture civili dell’energia, sta pianificando un inverno di gelo, buio, sete e fame per oltre trenta milioni di ucraini rimasti nel loro Paese.
Le donne ucraine che lavorano nelle nostre case hanno memoria: un genocidio l’Ucraina l’ha già subìto, novant’anni fa, con lo sterminio per fame dei suoi contadini, il grano della loro sopravvivenza requisito e distrutto per ordine di Stalin. Lo chiamano Holodomor, è il loro Inferno.
Che la strategia della Federazione russa sia nazional-razzista e abbia il colore del genocidio, non lo dicono i fanatici filo-zelenskyani: lo dice lo stesso autocrate di Mosca, nei suoi discorsi. E lo benedice il patriarca ortodosso Kirill, caricatura feroce e diabolica di un leader religioso, quando promette, fanatico, il paradiso ai soldati russi disposti a farsi ammazzare per “denazificare” l’Ucraina (dove ci sono, sì, anche dei nostalgici di Hitler: esattamente come a Mosca, Berlino, Roma, Oslo, Buenos Aires…).
In questa notte buia dove i torti e le ragioni pari sono, quel pacifismo poco pensante non distingue, non separa ma equipara (non equamente) vittime e carnefici nella ripulsa totale della guerra. E dunque dice agli ucraini: arrendetevi, date a Putin quello che vuole, l’importante è che non si spari più. E dunque, russi e ucraini pari sono.
Questa notte della ragione e della solidarietà, l’associazione EUcraina, europei per l’Ucraina, nata a Trento, cerca di riscaldarla con la campagna «Sos Inverno». Aiutiamoli a sopravvivere. Che l’inverno non sia un inferno. Raccogliamo soldi per generatori e altri strumenti di sopravvivenza. Per aiutare i civili che resistono come Alina, Daria, Hanna, Tetiana, Tonya e tutti gli attivisti democratici che abbiamo conosciuto a Kyiv, Lviv, Dnipro, Odessa. Che non vogliono fuggire dalle loro città minacciate di morte.
In questa notte, dopo tante parole indignate, sante, profetiche ma involontariamente equidistanti, all’udienza generale di mercoledì 23 ottobre, a nove mesi dall’inizio della guerra, papa Francesco ha trovato le parole giuste e non equidistanti ma vicine all’Ucraina per accendere una luce sulla tragedia europea che si consuma nel buio di questo autunno nero: «Preghiamo per la pace nel mondo e per la fine di tutti i conflitti, con un pensiero particolare per le terribili sofferenze del caro e martoriato popolo ucraino. In proposito, sabato prossimo ricorre l’anniversario del terribile genocidio del Holodomor, lo sterminio per la fame nel 1932-33 causato artificiosamente da Stalin in Ucraina. Preghiamo per le vittime di questo genocidio e preghiamo per tanti ucraini, bambini, donne e anziani, bimbi, che oggi soffrono il martirio dell’aggressione».
Il «martirio dell’aggressione» è, teologicamente, un’espressione fortissima. Significa che il popolo ucraino è testimone (martire) che versa il suo sangue innocente, vittima di ingiusta aggressione violenta. Significa, implicitamente, accusare l’aggressore di un crimine contro l’umanità. Tornando dal Kazakhstan, a metà settembre, sull’aereo con i giornalisti, Francesco aveva già affermato il diritto alla resistenza all’aggressione, anche con le armi. Senza per questo smettere di denunciare l’abominio del commercio delle armi e di invocare il dovere di ricercare sempre e comunque la pace. Anche sedendosi al tavolo con i criminali di guerra. Come si è sempre fatto. Come hanno fatto Inghilterra e Francia nel 1938 a Monaco, cercando (invano) di fermare il dittatore nazista.
Ma una pace che non riconosca «martirio dell’aggressione» e dunque non esiga la riparazione, almeno parziale, dei torti dell’aggressore, è una pace falsa, iniqua, è la resa alla prepotenza. Che apre la strada ad altre guerre, altre invasioni, altri crimini. Per questo le parole del papa, mercoledì 23 novembre, in memoria di un genocidio e in vicinanza a un popolo nuovamente minacciato di morte, marcano una novità e accendono una piccola luce, nel buio della guerra voluta da Mosca, dal lato oscuro della forza.