L'esperto

domenica 19 Febbraio, 2023

«La pace in Ucraina? Serve una via d’uscita per la Russia di Putin»

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Parla Marco Pertile, professore di Diritto internazionale all'Universitò di Trento: «Il grande interrogativo e il ruolo della Cina»
Marco Pertile, docente di diritto internazionale

Un anno di guerra in Ucraina. Il 24 febbraio l’infausto anniversario. «Era evidente che non sarebbe stata una guerra breve» dice Marco Pertile, professore ordinario di Diritto Internazionale all’Università di Trento. Ancora adesso non si vede una via d’uscita: «La pace? La vera difficoltà è individuare un punto di caduta che tenga insieme la salvaguardia del diritto internazionale – violato dalla Federazione Russa con l’aggressione a un Paese sovrano – e l’offerta di una via d’uscita alla stessa Russia», riflette Pertile. Secondo il quale «non è facile immaginare che l’Ucraina possa cedere qualche territorio, sembrerebbe inaccettabile sia giuridicamente che eticamente. Ma possiamo davvero pensare di chiudere la conflittualità con la sconfitta della Russia? Significherebbe la destituzione di Putin: ma con quali prospettive, magari l’instaurazione di un regime peggiore?».
Lei non si è mai illuso che fosse una guerra lampo…
«La sorpresa è stata l’aggressione russa. Si immaginava che ci si sarebbe fermati un minuto prima; al massimo si prefigurava un’invasione limitata al Donbass, non certo il tentativo di prendere Kiev e rovesciare la leadership ucraina. Ma con il sostegno economico e di fornitura d’armi dei Paesi occidentali all’Ucraina era impensabile credere che il conflitto fosse breve».
Chi contesta l’intervento occidentale sostiene che la Nato non può aiutare militarmente un Paese non membro dell’alleanza atlantica.
«I Paesi Nato non sono intervenuti direttamente nel conflitto, ma hanno dato un supporto militare esterno. Lo possono fare. Inoltre l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite prevede la legittima difesa collettiva qualora un membro Onu – e l’Ucraina lo è – la invochi se aggredito. In base a quell’articolo gli altri Paesi possono soccorrerlo anche con l’uso della forza e sul campo di battaglia».
Insomma, se lo volessero, Usa e Occidente sarebbero legittimati a intervenire in Ucraina anche direttamente?
«Sì e se non viene fatto è per una scelta politica, non certo per un limite giurisprudenziale. Si vuole evitare una possibile terza guerra mondiale».
La Russia, per giustificare l’invasione all’Ucraina, parla di accordi di Minsk del 2014 non rispettati…
«Anche se fosse vero, questo non giustifica un’aggressione armata contro un altro Paese. Il divieto dell’uso della forza, nel diritto internazionale, ha solo un’eccezione ed è la legittima difesa, non la violazione di un trattato. Il punto sostanziale è un altro…».
Quale?
«Gli accordi di Minsk erano ambigui. Contenevano uno scambio: da un lato la tutela delle minoranze russofone in Ucraina, quindi forme di partecipazione e loro potere di veto su determinate scelte in politica estera dell’Ucraina, vedi l’avvicinamento alla Nato, che secondo la Russia si stava prefigurando; dall’altro la garanzia dei confini ucraini. Tuttavia non era volutamente precisato fino a che punto poteva spingersi la tutela di queste minoranze, idem il ripristinato controllo dei confini. Si è generato un dilemma: da cosa e da dove si comincia? Forse Putin ha approfittato di questa ambiguità perché aveva già un piano per invadere il Paese».
Tuttavia lei prima ipotizzava una soluzione per la pace che salvaguardi l’Ucraina, ma non passi dalla sconfitta russa. Com’è concretamente possibile?
«Nei mesi scorsi, sotto traccia, non ufficialmente, think thank autorevoli e analisti ben informati sostenevano che una soluzione ragionevole potrebbe essere la cessione della Crimea alla Federazione Russa e una soluzione temporanea per il Donbass, cioè un congelamento decennale della situazione in quel territorio, per arrivare poi a un referendum che ne decide il futuro. Ma si profilano due limiti: uno etico, così si rischia di riconoscere un vantaggio a chi ha aggredito; uno giuridico, la cessione di un territorio può avvenire solo tramite un trattato frutto di un negoziato vero e non condizionato dall’uso della forza. In altre parole, l’Ucraina non può negoziare con la pistola puntata alla tempia».
Quale Paese può accreditarsi come mediatore?
«Chi ha qualcosa da offrire alle parti in conflitto perché in grado di esercitare una certa politica di potenza. Ci ha provato la Turchia, un tentativo congiunto con le Nazioni Unite e non privo di risultati perché ha creato un corridoio per l’esportazione del grano, ciò ha scongiurato in parte una crisi alimentare globale. Ora ci prova Israele, Paese che, pur solidarizzando con l’Ucraina, non ha mai condannato apertamente la Russia. Ma tentativo israeliano non ha portato finora a un nulla di fatto».
La Cina?
«Il suo ruolo è il vero interrogativo. Può mediare, c’è questo viaggio in corso in diversi Paesi del responsabile esteri del suo Partito comunista. La Cina è indiscutibilmente una grande potenza economica, ha quindi qualcosa da offrire e la Russia con lei ha rapporti essenziali. Va capito se può superare la diffidenza dei Paesi occidentali».
Una domanda sui suoi colleghi analisti, che fanno il pieno di presenze nei talk show. Non rischiate, come categoria, di perdere credibilità come i virologi durante la pandemia?
«In tv l’esigenza di share è deleteria, si polarizza lo scontro, gli esperti sembrano maschere teatrali. Difficile possano emergere in quella sede tesi intelligibili e ragionevoli».