L'intervista
sabato 10 Giugno, 2023
di Simone Casciano
«Il 2 giugno è la festa di tutti i cittadini e di tutte le cittadine e sarebbe bello se un paese civile e in pace facesse sfilare le espressioni della sua migliore vita democratica. Io ho un sogno immaginatevi i vostri figli che un giorno ai Fori Imperiali vi chiedono: “Mamma chi sono quelli che aprono la parata?” e voi poteste rispondere: “Ah sono gli artisti e le artiste di questo paese che ci ricordano che ricercare la bellezza è ciò che ci rende umani anche nell’orrore più grande”». Descrive così il suo sogno di una Festa della Repubblica diversa la scrittrice e giornalista Michela Murgia immaginando una parata in cui a sfilare non siano le forze armante bensì l’espressione della vita democratica del paese. Un elenco a cui poi lei aggiunge i medici, gli insegnanti e anche i giornalisti, ma a cui ognuno potrebbe contribuire. Una suggestione che ha ispirato anche la vignetta realizzata da Emanuele Del Rosso pubblicata oggi in questa pagina de «Il T» a dimostrazione di come questa visione di una festa che celebri tutto ciò che contribuisce alla Repubblica abbia creato fermento e discussione in questa settimana.
Non è solo un sogno dettato da questi tempi in cui forse più che in altri momenti il bisogno di pace e di distaccarsi dall’immaginario di guerra si fa sentire maggiormente, ma è anche una visione che ha profonde radici nella nascita della repubblica italiana stessa come ci ha spiegato Francesco Filippi. Storico trentino, esperto di fascismo, resistenza e Seconda guerra mondiale, autore di vari saggi tra cui: Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo e Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto
Filippi cosa ne pensa della proposta di Michela Murgia?
«Partirei facendo una premessa. Trovo particolare che il giorno in cui si celebra la nascita di una repubblica, che nella sua costituzione dice di ripudiare la guerra, lo si faccia con una parata militare. In questo momento poi il peso specifico dei militari all’evento è stato amplificato, perché evidentemente ci sono nuove narrazioni in campo. L’Italia e gli italiani però devono fare i conti con il proprio rapporto con la guerra. Non si può dimenticare che durante l’ultima guerra totale questo paese ha combattuto con addosso la divisa fascista. E ancora oggi ne paghiamo il conto, ancora oggi ci sono miti raccontati e tramandati nell’esercito che sono di natura fascista».
Cioè?
«Faccio due esempi. Il primo è la battaglia di El Alamein. Lo scontro che arrestò il tentativo di invasione italiana dell’Egitto durante la guerra italo-tedesca contro gli inglesi sul fronte africano. Una battaglia su cui ancora oggi si dice: “Mancò la fortuna non il valore”. Si tengono commemorazioni per questa battaglia figlia di una guerra imperialista e fanno parte della narrazione militare del nostro paese».
E il secondo
«L’anno scorso è stata decisa, come data per onorare le truppe alpine, il 26 gennaio. La ricorrenza è quella del 26 gennaio 1943, ossia la battaglia di Nikolaevka. Ossia una disfatta in una guerra, mai dichiarata, contro un nemico, l’Urss, e definita da Mussolini: “Crociata anti bolscevica”. Mi permetto di dire, da storico ma anche da uomo di terre alpine, che mi sento offeso che nei più di centocinquanta anni di storia delle truppe alpine si sia scelto di commemorare questa data figlia di una campagna di aggressione del regime fascista. Si poteva scegliere il 1976, anno che ha visto gli alpini soccorrere la popolazione terremotata del Friuli, ma anche uno degli altri momenti che ha visto gli alpini protagonisti in Italia come vero corpo di pace. In questo contesto la proposta di Murgia ha il pregio di interrogarci tutti. Ci spinge a chiederci: cosa significa essere oggi repubblicani? Quali sono i valori di questa repubblica? Se sono la pace, la democrazia e l’inclusione. Se la repubblica e i suoi valori sono i frutti di pace di un paese che usciva dalla guerra, allora sì i carri armati stonano».
Chi sono allora i padri e le madri della Repubblica?
«Ovviamente i padri e le madri costituenti che tra il ’45 e il ’47 compiono un miracolo sociale che sembrava impensabile. Persone con idee diverse: liberali, democristiani, comunisti, socialisti, repubblicani e anche monarchici. Capaci di comprendere che la repubblica è figlia del compromesso. E lo vediamo fin dai primi articoli della Costituzione. La repubblica è figlia dell’esperienza antifascista e figlia della consapevolezza degli orrori della guerra. La repubblica nasce quindi automaticamente antifascista e pacifista perché nasce dalle macerie di una volontà di potenza che ha portato alla guerra. È figlia della democrazia di pace».
Queste anime diverse si erano incontrate in un luogo comune: il Comitato di liberazione nazionale
«Esatto il Cln costituisce un punto di svolta in Italia. La presa di coscienza che l’antifascismo non è un fenomeno unitario, ma complesso. L’insieme di tante anime diverse accomunati dall’opposizione al regime. Se noi prendessimo un comunista, un socialista o un democristiano nel ’43 e chiedessimo loro cosa vogliono risponderebbero: “La libertà”. Una parola che avrebbe un significato diverso per ognuno di loro. Ma da quel punto di partenza nasce l’unità che porterà alla repubblica. Chi dice che la repubblica non è antifascista dice una sciocchezza. Il punto fondamentale è che la Costituzione è l’antifascismo della repubblica. Non c’è bisogno di ripeterlo»
Senza la Resistenza e il Cln avremmo avuto la Repubblica?
«È una bella domanda, di sicuro sarebbero stati altri i padroni del racconto. Ricordo che Churchill voleva mantenere la monarchia. La storia è un insieme di fatti. Ribalterei la questione dicendo che la Resistenza è ciò che ha permesso a Degasperi nel ’47 di presentarsi a Parigi dimostrando che gli italiani avevano combattuto per la propria liberazione. Questo dà al nostro paese una marcia in più per sedersi al tavolo dei paesi democratici, un’opportunità che non fu concessa agli altri paesi dell’Asse. Dico comunque che una monarchia così legata a doppio filo al regime fascista era indigeribile agli italiani. La repubblica vinse 12 a 10 al referendum. Può sembrare vicino, ma solo se ci dimentichiamo che quel due indica due milioni di persone».
Torniamo al sogno di Murgia che ne pensa?
«Direi vorrei che il 2 giugno più che una parata fosse una grande festa. Meno gente che parla e più gente che balla. Senza etichette e magari anche senza professioni, ma in quanto cittadini e cittadine di questa repubblica che ci ha dato il regalo più bello: essere uomini e donne liberi»
il caso
di Redazione
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