giovedì 8 Febbraio, 2024

La protesta dei trattori si struttura. I trentini pensano a un movimento regionale: «Vogliamo lavorare, non incentivi»

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Contadini e allevatori dopo la manifestazione: «No a direttive Ue su stalle e fitofarmaci»

Da Bruxelles, dove hanno ottenuto la prima, parziale, vittoria a Roma, passando per il palcoscenico «nazional-popolare» Sanremo, dove (forse) interverranno. I trattori continuano la loro marcia: nel mirino le nuove politiche europee in ambito agricolo. Le motivazioni sono diverse, come i paesaggi e i territori delle regioni dove sono nate: Germania, Francia, solo in un secondo tempo anche l’Italia. In Trentino, terra dove non solo i prodotti agricoli, ma anche la politica tende ad essere a «chilometro zero», tendenzialmente più vicina, anche solo per ragioni di scala, alla società civile, hanno sorpreso tutti con la protesta del 26 gennaio. Partecipatissima, organizzata, come nel resto d’Italia, benché senza l’appoggio diretto delle associazioni di categoria. Nata su una chat di whatsapp, a cui partecipano 1.024 agricoltori. Ossia il massimo consentito: altri non ce ne stavano. Le iniziative andranno avanti, spiegano gli esponenti di «Unione settore primario Trentino», il nome che, per il momento, ha scelto il gruppo, che vede sette agricoltori nel ruolo, provvisorio di portavoce. Il T ha parlato con tre di loro: l’esplicita richiesta è quella di non pubblicare i nomi, in attesa della votazione delle cariche (prevista per la settimana prossima).
Partiamo dalle ragioni che vi spingono a protestare. L’impressione è che ci sia una grande confusione tra il pubblico non specializzato…
«Siamo in affanno da anni, a causa della politica europea in ambito agricolo e la situazione sta prendendo una piega insostenibile: dobbiamo capire se vale la pena continuare a lavorare o a stare fermi».
A livello comunitario quali decisioni vi preoccupano di più?
«C’è il regolamento sui fitofarmaci (ritirato proprio in questi giorni a seguito della protesta, ndr). Questo ha un alto impatto sui settori della frutticoltura e della viticoltura, così presenti in Trentino. Stiamo lottando in particolare con la flavescenza, che mette in sofferenza i vigneti da almeno otto anni. Ma le nostre armi sono spuntate: ci rimangono pochi insetticidi a spettro ristretto. E sono stati proibiti anche molti principi attivi sugli aficidi. Ma senza alternative rischiamo di compromettere la nostra attività».
E sugli allevamenti?
«Ci preoccupa la direttiva sulle dimensioni delle stalle prevista dalla nuova Pac. Si ignorano tutte le peculiarità della realtà montana. Nel nostro territorio è impensabile rifare le stalle in questo modo, a meno di non avere milioni a disposizione. La ragione sarebbe quella di avere una maggiore attenzione al benessere animale, un aspetto a cui gli allevatori trentini hanno prestato sempre la massima attenzione».
Fuori dal Trentino si è parlato anche di molte altre cose, dai pannelli solari agli insetti.
«Due temi che, per fortuna, non ci riguardano: sul primo siamo tutelati dalla legge paesaggistica. Per quanto riguardo lo sviluppo di cibo alternativo non è un tema che influisce sulle nostre produzioni. Quello che ci preoccupa è fare capire quali sono le esigenze dell’agricoltura montana».
Quale saranno le prossime iniziative?
«Saremo a breve a Bolzano, dove ci confronteremo con gli agricoltori altoatesini per capire cosa poter fare assieme».
Proprio a Bolzano si è registrata la reazione, fredda, della Bauernbund, la Lega dei Contadini. Ma anche le altre associazioni di categoria sono prudenti.
«C’è stata una risposta a livello personale di alcuni delegati. Noi andiamo avanti per la nostra strada».
La politica locale cosa può fare?
«A livello provinciale e regionale chiediamo maggiori controlli sulle scelte della grande distribuzione organizzata. Ci sono delle situazioni in cui l’acquisto da paesi esteri che seguono regole diverse si può configurare come concorrenza sleale».
E la gente che dice?
«Ci sono state reazioni positive, ma dobbiamo combattere anche con molti preconcetti».
Ad esempio?
«Quello secondo cui siamo affamati di sussidi. Invece sono proprio l’ultima cosa che chiediamo. Non ci interessa comprare nuovo materiale a prezzo maggiorato perché ci sono gli incentivi, vogliamo solo che il nostro lavoro sia rispettato e valorizzato. E, soprattutto, che valga la pena continuare a farlo».