L'esperta
giovedì 2 Marzo, 2023
di Simone Casciano
La lotta contro il cambiamento climatico passa anche dall’alimentazione e, in particolare, dal mondo delle carni. Emissioni, consumo di acqua e di suolo, sono tanti gli aspetti interessati dalla filiera della carne che hanno un impatto diretto sul futuro del pianeta. Lo spiega bene Francesca Grazioli nel suo libro Capitalismo carnivoro (Il Saggiatore). La ricercatrice del Centro di ricerca Bioversity International, che si occupa di cambiamento climatico e sicurezza alimentare con un’attenzione particolare per l’Africa, sarà a Trento oggi per parlare del suo libro in un evento organizzato presso il Castello del Buonconsiglio alle 18.
Grazioli di cosa parla il suo libro?
«È un viaggio nel mondo della carne. Il mio intento è quello di raccontare cosa si cela dietro la sua produzione, disvelando così un mondo che in molti non si immaginano. Nel libro parto dal presupposto che la carne è un alimento che nella nostra società ha un alto valore simbolico, ma che dietro di essa si è innestato un sistema di produzione intensiva che ha effetti articolati e negativi».
Cioè?
«La filiera della carne ha un impatto negativo su emissioni, consumo di suolo e sfruttamento idrico. Gli allevamenti intensivi sono tra i maggiori produttori di gas».
E per quel che riguarda il consumo di suolo?
«Per quello non bisogna calcolare solo quello per l’allevamento in sé. Basti pensare che il 60/70% del mais e della soia che produciamo, a livello mondiale serve, per alimentare l’industria animale. Quindi anche tutti quei campi in cui si coltivano questi prodotti vanno aggiunti al calcolo del consumo di suolo della filiera della carne. Con il paradosso che, così facendo, questi alimenti vengono utilizzati per sfamare animali che poi, una volta macellati, generano una quantità inferiore di cibo da immettere sul mercato».
È quello che sta succedendo nella foresta Amazzonica?
«Esatto, il nesso è la soia. Per quanto gli agricoltori possano aumentare la loro produttività non riescono a soddisfare la domanda che arriva da quegli allevamenti e per questo si stanno espandendo a danno della foresta pluviale. Il problema è legato sia al Brasile che alla Colombia».
Parlava anche di consumo idrico, un tema di grande attualità
«Si, è un problema complesso. Bisogna considerare l’acqua necessaria a produrre questi oceani infiniti di mais e soia che servono agli allevamenti. Poi c’è quella che serve non solo a mantenere gli animali, ma anche quella che viene inquinata per lo smaltimento delle loro deiezioni. Soprattutto i maiali. Non si tratta del letame animale che poi il contadino può riutilizzare per concimare i propri campi. Visto l’utilizzo massiccio di antibiotici negli allevamenti questo letame rischia di inquinare e compromettere suolo e falde acquifere».
Come società consumiamo troppa carne?
«Se prendiamo in considerazione il nord del mondo assolutamente sì. Negli Stati Uniti ogni giorno si mangiano 22 milioni di pollo per dire. Prendo i due estremi per rendere chiara la situazione: in America ogni anno un cittadino consuma 101 kg di carne, in Nigeria 3,5».
E in Italia?
«La situazione non è molto diversa dalla media europea, dove la maglia nera va alla Spagna. La nostra tradizione culinaria vegetale, in cui la carne era un piatto ricco riservato ai momenti di festa, ci ha aiutato a contenere gli eccessi. Anche questa tradizione culinaria, virtuosa e sostenibile, però si sta perdendo».
Nel suo libro parla anche della carne sintetica, che ne pensa?
«Premesso che viviamo ancora nel mondo delle ipotesi, potrebbe essere parte della soluzione. Perché nella sua produzione si elimina tutto il problema dello sfruttamento di acqua e di suolo necessario per mantenere gli animali. Questo non risolve il tema dell’eccessivo consumo di carne, ma vista la situazione emergenziale in cui ci troviamo, con il surriscaldamento globale, ben venga anche una toppa».
Quali sono allora le possibili soluzioni?
«Ci tengo a precisare che quello che serve sono azioni a livello governativo, non si può affidare le responsabilità alle singole persone. Poi certo l’invito è quello a un consumo responsabile. Rendere la carne un contorno e non il piatto principale fa già una grande differenza. Basti pensare che rinunciare a un piatto a base di carne equivale all’energia necessaria a ricaricare il proprio smartphone per un anno. Però ribadisco servono risposte di sistema a livello nazionale e comunitario».
Tipo?
«Intanto è importante riconoscere l’impatto ambientale e economico del settore. Un primo passo sarebbe quello di pretendere che le aziende pagassero i danni ambientali che producono, mentre ora sono a carico nostro. Dobbiamo capire che il prezzo e il costo della carne sono due cose diverse. Noi crediamo di pagare solo il primo alla cassa del supermercato, ma poi arriva sempre il momento di saldare anche il secondo. Poi va detto che le regolamentazioni già esistono, il problema è che sono scarsamente implementate, poco controllate e meno ancora punite. Così viene meno l’effetto deterrente».
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