L'intervista
martedì 2 Luglio, 2024
di Luca Novella
«La montagna usa e getta, la natura da consumare sono le promesse di un turismo scatenato. Sono promesse pericolose, sia per chi le fa, sia per chi ci crede». Questo, in breve, da un estratto della nota introduttiva del suo ultimo libro, il pensiero della scrittrice, regista e drammaturga meranese Selma Mahlknecht. Il libro in questione si intitola, nella sua edizione in lingua tedesca, «Berg (montagna) and Breakfast» ed è da pochi giorni disponibile anche in traduzione italiana (a cura di Giuliano Geri) con il titolo «All Intrusive». In questo volume l’autrice prende in esame le contraddizioni e l’impatto ambientale, economico e sociale che il turismo alpino produce nelle aree interessate, mettendo in luce i rischi di un eccessivo assoggettamento della montagna e dei suoi abitanti alle esigenze dell’industria del turismo.
Com’è nata l’idea di scrivere «Berg and Breakfast»?
«Scrivendo per il teatro a Naturno abbiamo pensato, con la mia compagnia, che, dato che si tratta di una meta turistica molto frequentata, sarebbe stato interessante e stimolante affrontare la tematica del turismo. Così abbiamo messo in scena una commedia intitolata “Un Lago per San Procolo”, nella quale raccontavamo la storia di questo paesino che, per attirare i turisti, voleva creare un lago artificiale anche a costo di sommergere il villaggio vicino. Lo spettacolo ha riscosso molto successo e ha stimolato anche un vivace dibattito sul tema, così mi è venuta l’idea per il libro».
È stata influenzata anche dalla sua storia personale, dall’infanzia altoatesina alla sua attuale vita nel Canton Grigioni?
«Certo, nel corso della mia vita ho avuto modo di sperimentare diversi modelli di turismo e questo certamente ha alimentato le mie riflessioni. Dal turismo di massa in Alto Adige, sono passata al più elitario modello offerto da St. Moritz, ma anche a quello meno ipertrofico e un po’ più sostenibile della Val Monastero».
Quali sono i principali rischi del turismo di massa?
«I rischi sono numerosi. C’è anzitutto un significativo impatto ambientale, con la natura che viene sacrificata per far spazio alle infrastrutture turistiche. C’è però anche un problema di natura sociale: i residenti rischiano di non riuscire più a sostenere l’elevato costo della vita nelle loro stesse città, a causa dell’inflazione dei prezzi incentivata dal flusso turistico. Infine c’è anche la minaccia dell’eccessiva commercializzazione delle tradizioni locali, che comporta talora lo snaturamento delle stesse, talaltra un’artificiosa costruzione di costumi e tradizioni da dare in pasto al turista. Si pensi ai costumi “tipici” tirolesi, basta dare un’occhiata a repertori di fotografie storiche per rendersi conto di come la percezione che abbiamo della nostra stessa storia sia stata distorta per fini turistici».
Quali sono le ragioni che hanno portato a questo turismo di massa?
«Alla base di tutto c’è una narrativa romantica della montagna e del viaggio: oggi sembra che solo viaggiando si possa ritrovare se stessi e sfuggire all’alienazione della vita quotidiana, ma ovviamente si tratta di una mera illusione. C’è poi anche chi ricerca, tramite il turismo sportivo, una forma di autogratificazione, imbarcandosi in imprese faticose che poi gli permettono di tornare a casa trionfante a raccontare le proprie avventure ad amici e familiari.
Dopo la pandemia inoltre abbiamo assistito a un fenomeno di “revenge tourism”: dopo mesi e mesi di clausura nelle proprie abitazioni le persone sono state travolte dall’esigenza di viaggiare e entrare in contatto con la natura. Si tratta tuttavia di un fenomeno destinato a esaurirsi, perché la costante impennata dei prezzi renderà il turismo sempre più elitario, mentre il turista medio, quello che non è poi così facoltoso e vuole andare in vacanza con la famiglia, sarà sempre più in difficoltà».
Alcuni propongono soluzioni come il numero chiuso o la destagionalizzazione del turismo. Cosa ne pensa?
«L’aumento dei prezzi o l’inserimento di una tassa come metodo di regolazione non fa altro che favorire i più ricchi, non credo che sia una soluzione percorribile. La destagionalizzazione invece rischia semplicemente di causare un sovraffollamento continuo durante tutto l’anno, come vediamo già in città come Barcellona. Ho avuto modo di confrontarmi anche con persone residenti a Serfaus, in Austria che mi hanno raccontato di essersi ritrovate a non avere più una vera e propria bassa stagione, mentre prima tra la stagione sciistica e le vacanze estive riuscivano ad avere dei momenti di pace. Piuttosto credo che dovremmo puntare su un turismo più locale, più casalingo, e dovremmo evitare tutta questa aggressiva pubblicizzazione dei nostri territori perché non serve ad altro che attirare nuovi flussi di turisti che vengono da lontano. Non abbiamo bisogno di andare alla ricerca di nuovi mercati in cui vendere il nostro patrimonio naturale».