Musica
martedì 15 Novembre, 2022
Il talento di Giacomo Turra: da Trento a New York. «Suono il funk e mi tatuo Waters»
di Mario Pizzini
La passione per la chitarra, il successo social durante il lockdown, la vita a New York e ora il tour in Italia

Da Trento a New York per conquistare un sogno che ora è divenuto realtà. Così il venticinquenne Giacomo Turra è diventato grande, ed ora annuncia il suo primo tour italiano. La svolta è avvenuta durante il lockdown, durante il quale, impossibilitato a suonare live, lancia un format snello e accattivante su instagram, con brevi video nei quali suona cover riarrangiate o riff di chitarra frutto di sue sperimentazioni musicali che lo portano a superare i 350 mila followers. Giacomo Turra è diventato ormai una stella nascente del panorama musicale e social italiano, tanto da aver raggiunto i 350 mila follower su instagram e da annunciare il suo primo tour in Italia.
Giacomo, come definirebbe la sua musica?
«La mia priorità è far ballare e divertire la gente piuttosto che veicolare particolari messaggi. Per questa caratteristica, a prevalere nella mia musica è il funk, che reinterpreto in chiave più moderna lavorando molto sui suoni. Le influenze musicali da cui attingo sono tante, su tutte Jazz, R&B ed Hip Hop».
Qual è la sua giornata tipo?
«Mi piace svegliarmi presto. In linea di massima la mattina la dedico a preparare il video che pubblico il venerdì su Instagram, lavoro a nuovi arrangiamenti e registro. Il pomeriggio faccio prove con la band, poi un’oretta di palestra prima di cena. La sera guardo video musicali, film, ascolto musica. In questo modo stimolo la mia creatività e sviluppo nuove idee».
Ha molti tatuaggi, hanno un significato particolare?
«Molti sono legati alla musica, come il vinile attraversato dal battito cardiaco che ho sul braccio, oppure il volto di Muddy Waters, il chitarrista che per primo mi ha fatto venire voglia di suonare la chitarra. Sull’avambraccio destro, specchiato a Muddy, voglio tatuarmi Stevie Wonder. Così avrò da una parte il rhythm di Stevie, e dall’altra il blues di Muddy. Un altro tatuaggio che ho in progetto è il simbolo di Prince, non solo per l’aspetto estetico ma anche per tutto ciò che esso rappresenta».
Qual è il processo che segue nella produzione di una nuova canzone?
«Di solito parto da un riff di chitarra, qualcosa che mi ispira e sembra accattivante. Poi inizio l’arrangiamento, in ordine batteria, basso tastiere ed infine voce».
Fino ad ora quali sono stati i momenti più importanti della sua carriera musicale?
«Penso siano due. Da una parte il lockdown, durante il quale ho avuto per la prima volta tanto tempo da dedicare solo alla musica. Da lì è iniziato tutto. Non potendo fare altro, ho iniziato a postare i miei video musicali su Instagram, utilizzandolo come rampa di lancio per la mia carriera. Dall’altra suonare al Soul Live Festival di Amsterdam prima di Kandy Dulfer, sassofonista di Prince, e Joss Stone. È stato un momento incredibile».
A gennaio 2022 è stato negli States, ci racconti qualcosa di quell’esperienza.
«L’idea iniziale era di andare in America a suonare, avevamo già un tour organizzato da una agenzia di booking di Nashville. Una volta arrivati ci siamo accorti che la situazione era davvero incasinata causa Covid, tanti locali erano chiusi e quelli aperti avevano troppe restrizioni. Abbiamo quindi stretto contatti con produttori discografici, registrato un album a Dallas, e incontrato vari musicisti, in particolar modo a New York, città incredibile per la sua vivacità musicale e culturale in senso lato».
A proposito di vivacità musicale, il panorama statunitense è forse il più vivo e stimolante al mondo. Come lo descriverebbe e cos’ha provato ad immergersi in quell’ambiente?
«Sei in un contesto in cui anche nei piccoli locali c’è un livello di preparazione mostruoso. Ti faccio un esempio: siamo stati ad una serata open jam al Bitter End organizzata da Richi Cannata, sassofonista di Billie Joel. Tutti quelli che salivano sul palco avevano una capacità di improvvisazione incredibile e un repertorio musicale infinito. Il panorama musicale è molto più competitivo e quindi ti spinge a superarti, stimola la tua creatività. Per uscire dall’ordinario e proporre qualcosa di originale devi fare tuoi tutti gli input provenienti dall’esterno e sperimentare. Questa è la cosa più importante che mi porto via».
Qual è, secondo lei, la principale differenza tra il panorama musicale statunitense e quello italiano?
«La musica è considerata in modo diverso rispetto all’Italia, ma forse al mondo intero. Loro la considerano come un mezzo artistico piuttosto che di intrattenimento. Quando dicevo di essere musicista, subito si mostravano attenti, mi chiedevano quale genere suonassi e dove potermi ascoltare. Ci tengono molto e ti valorizzano quando meno te lo aspetti. Secondo me la grossa differenza sta qui, nell’importanza che loro danno alla musica».
Pensa di tornarci?
«Assolutamente! Ci stiamo organizzando per un tour tra marzo e aprile».
Il 22 novembre inizierà il suo primo tour italiano. Cosa pensa possa rappresentare per la sua carriera?
«Per il momento abbiamo tre date, rispettivamente a Milano, Bologna e Roma. Se vanno bene ne aggiungeremo delle altre. Sono curioso di vedere come risponderà la gente alla mia musica visto che l’Italia è il terzo paese per ascolti».
Quali sono i suoi programmi per il futuro?
«Sicuramente pubblicare ancora qualche singolo per poi raccoglierli tutti e fare uscire un album. Stiamo lavorando anche per organizzare un tour in Europa. Ultimamente sto avendo contatti anche in Brasile, mi piacerebbe molto suonarci».
Su Instagram e nei i singoli ha collaborato con molti artisti internazionali, chi sono i musicisti con cui suona in Italia?
«La band si chiama Funky Minutes ed è formata da due musicisti di Trento, Matteo Dallapè alla batteria e Francesco Dallago al basso. Con loro mi trovo molto bene, c’è una forte intesa e un ottimo timing quando suoniamo, indispensabile per ottenere quel groove accattivante che cerchiamo. Poi c’è Anna Polinari, pianista e cantante di Verona. Si è aggiunta di recente ma è già perfettamente inserita nel sound della band. Mi seguiranno non solo in Italia ma anche all’estero, dove peraltro siamo già stati tra Amsterdam e Stati Uniti. Per i live ci sarà anche Alessandro Russo, sassofonista italiano fortissimo che vive ora in Olanda».
Non mi resta che augurarle buona fortuna…
«È un momento per il quale abbiamo lavorato molto, non vediamo l’ora di iniziare».
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