Il ritratto

domenica 26 Gennaio, 2025

La studiosa Ludmila Vesely, figlia del re dello yogurt: «Vorrei far rivivere la rivista “Terza generazione”. Rosmini? Formidabile»

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Suo padre fondò la Yomo. Ha fatto scuola la sua tesi sulla Vallarsa

La sua tesi di laurea, uno studio antropogeografico sulla Vallarsa degli anni Cinquanta, è considerata modello ancora valido per stabilire la vocazione economico-culturale d’una terra. Lo switch di 70 anni porta la firma di Ludmila Vesely, 92 anni dichiarati ma non dimostrati, di cui Osiride in autunno ha stampato “La Vallarsa. Il paesaggio geografico”. Ottimo esempio di geografia antropica, che pone al centro dell’indagine territoriale non il mero dato, ma l’uomo con le sue aspettative, necessità, istanze etiche, estetiche persino. Come dire: i valori sopra ai fatti. Un libro che è specchio dell’atteggiamento esistenziale stesso dell’autrice, animata da passione, sete di ricerca, di pensieri nuovi. Nel parlarle si intuisce una predisposizione all’inaspettato che è tipica dello scienziato e del poeta: bisogno di esuberanza di senso, si può dire. Grande amante di Rosmini, tanto da credere che l’anima sia una combinazione di elementi divini e corporei, nella sua vita familiare, scolastica (da insegnante, di Lettere alle medie, alle superiori e persino in carcere), sociale, ha sempre cercato un rapporto spirituale con cose e persone. Questo, del resto, era anche l’indole dell’uomo che scelse di sposare, nel 1958: Matteo Leonardi, cardiologo di grande cultura e impegno solidale, caro alla città, morto prematuramente nel 2002. Dulcis in fundo, la cognata, moglie di Claudio Leonardi, è Anna Maria Chiavacci Leonardi, autrice di un commento alla Divina Commedia che ha fatto storia.
Autrice di molti libri a propria volta, tra cui il carteggio tra la zia Beatrice Maffei (pianista, diplomata all’Accademia Santa Cecilia di Roma, che con le sorelle Letizia, violinista, e Margherita fu cofondatrice della Società Filarmonica di Rovereto) e l’artista Carlo Belli, scrivendo “La voce di Teo”, Ludmila Vesely ha reso omaggio antologico al suo amore mai finito per Matteo Leonardi, la sua “roccia”. Cinque figli, sette nipoti, la passione per la pittura (è stata allieva di Vittorio Casetti) e per la mistica Maria Domenica Lazzeri, mugnaia di Capriana stimmatizzata, perseguitata, da poco dichiarata Venerabile, di cui Vesely ha curato la documentazione storico-biografica per la causa di beatificazione.
Ludmila nasce il 26 dicembre 1932 alla confluenza di famiglie importanti: il padre era Lumir Vesely, origini ceche, fondatore a Milano della Yomo, mentre il nonno materno era Gaspare Baldassarre Maffei, uno dei principali industriali trentini, creatore della birreria Maffei alla Sticcotta, la più grande del Trentino; una lapide, a Palazzo Fedrigotti, lo ricorda come benefattore della città.

Professoressa, che origine ha il suo cognome e come è arrivato a Rovereto?
Karel Vesely, mio nonno, era moravo. Aveva studiato ingegneria chimica laureandosi a Brno dopo essere stato cacciato dall’università di Praga perché favorevole al movimento per l’autonomia delle popolazioni riunite sotto l’impero asburgico. Si trasferì a Ficarolo, in provincia di Rovigo, come direttore di uno dei primi zuccherifici dell’Eridania, società di cui diventerà dirigente. Sostenitore della legione cecoslovacca, fu nominato console della Cecoslovacchia a Roma. Fu lui a ospitarmi durante gli anni dell’università. Il suo ultimogenito, unico maschio su cinque figli, era mio padre, Lumir, detto Leo, che si laureò in Scienze Politiche e creò la fabbrica della Yomo, introducendo in Italia lo yogurt in vasetti di vetro. Io sono cresciuta in mezzo a montagne di vasetti di vetro. Papà era appassionato di tante cose, si faceva costruire macchine da corsa su misura dalla Fiat perché gli piacevano le gare automobilistiche e, da bravo fotografo, è anche l’autore degli scatti che corredano la mia tesi di laurea sulla Vallarsa.

A Rovereto lei insegnava Italiano.
Sì, ma mi sono laureata in Lettere per caso. Appena diplomata, nel ’52, mi ero iscritta a Scienze Biologiche, a Padova. Poi, però, avvenne un incontro speciale, con la Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana, ndr.) di Roma. Ero andata a un convegno, mandata da Ivo Modena (il fisico nucleare morto nel 2017, ndr.), in compagnia di Mirella Perin (famosa latinista roveretana, ndr.) e vi trovai un’atmosfera splendida. A Rovereto l’ambiente era segnato dalla contrapposizione radicale tra blocco di destra e blocco di sinistra, ragazzi religiosi, di Gioventù Studentesca, versus contestatori. L’ambiente cattolico della Fuci, orientato verso una leggera opposizione alla Chiesa ufficiale, invece, convogliava la migliore gioventù degli anni Cinquanta. Mi piacque moltissimo. Mi portò a fare una grande scoperta.

Quale?
Che la fede può essere accompagnata dall’intelligenza. Questo fece sì che cambiassi facoltà e anche città. Mi trasferii a Roma e mi iscrissi a Lettere, facoltà che però, mi deluse; dava una preparazione grandissima, indubbiamente, ma di stampo filologico e non era ciò a cui aspiravo io.

A cosa aspirava, lei?
Avevo bisogno di capire il senso delle cose, della vita. Si era a pochi anni dalla fine della guerra, l’odio contrapponeva tra loro le persone e se prima in chiesa si nascondevano gli ebrei e i partigiani, negli anni 50 si nascondevano i fascisti, che sarebbero stati fatti fuori. È in quel clima che nasce la rivista “Terza generazione” finanziata da Degasperi. Cercava di superare le polemiche per dare spazio ai giovani e alle istanze di rinnovamento. Ecco, a Roma trovai un ambiente di conciliazione. Sulla rivista scrivevano intellettuali come Felice Balbo, Gianni Baget Bozzo, Achille Ardigò… Purtroppo visse solo un anno, chiuse battenti con la morte di Degasperi. Avrei tanta voglia di far pubblicare gli articoli di quegli undici fascicoli, mio marito, allora studente di Medicina, li ha fatti rilegare. Con il fratello Claudio abitava in Via della Chiesa Nuova, nel caseggiato in cui c’erano anche Giuseppe Dossetti, Laura Bianchini… padri e madri della Costituzione. Il caseggiato si trova accanto alla chiesa dei Filippini che aveva protetto prima gli ebrei, poi i partigiani e infine i fascisti.

Come conobbe suo marito?
Alla stazione dei treni di Roma. Mi venne incontro un ragazzo magro, lungo, sorridente, un trentino di Isera. A cementare la nostra conoscenza, poi, furono i convegni Fuci e le riunioni serali di “Terza generazione”. Scoprirò in seguito che lui era stato colpito dal mio impermeabile fuxia, con cappello annesso. Pensi lei, gli uomini, cosa notano… Ai miei nipoti raccomando sempre di stare attenti al fuxia.

Ha condiviso con il dottor Leonardi una vita di grande fede.
Provengo da una famiglia di non credenti, sono stati Matteo e mio cognato Claudio ad avvicinarmi alla fede, insieme al nostro grande amico Baget Bozzo. Credo che siamo tutti chiamati a essere sacerdoti, mediatori tra terra e cielo, ricercatori instancabili. L’ostacolo peggiore alla fede è credere di poter capire tutto con la propria testa.

Come fu che la Vallarsa divenne tema di laurea?
Il professore di Geografia mi suggerì di occuparmi di una delle valli del Trentino. L’idea mi piacque, avevo bisogno di concretezza, ero stanca di teorie storiche, interpretazioni, opinioni troppo soggettive, di cui si stentava a cogliere la credibilità. Scelsi la valle più povera, trovando la risposta che cercavo.

Cioè?
Con il geografo Pierre Deffontaines e il filosofo Teilhard de Chardin, penso che la dimensione antropica della geografia sia guidata dalla cultura e dallo spirito dell’uomo più che dalle esigenze fisiche della Terra e questo è molto concreto. A distanza di tanti anni ne sono ancora convinta. La Terra è avvolta da uno strato pensante, di cui Internet è solo un’analogia, la noosfera.

Qui si scivola nella metafisica.
Sono arrivata all’idea paradossale che l’anima, la coscienza, siano fisiche, ne sono convinti anche i due scienziati che hanno vinto il premio Nobel per la Fisica nel 2020, Stuart Hameroff e Roger Penrose: la fisica quantistica può dimostrare l’esistenza dell’anima e la scienza sta andando verso un nuovo modo di pensare all’universo, così come alla morte. E penso un’altra cosa, che il nostro Rosmini sia stato davvero formidabile; non solo ha dato un’idea dell’essere ma anche del senso fondamentale corporeo, che corrisponde al sentimento che il corpo ha di se stesso, una percezione extrasoggettiva che fa parte di un corpo fisico infinito.