Letture
sabato 28 Ottobre, 2023
di Carlo Martinelli
L’ha rifatto un’altra volta. E anche questa volta ci è riuscito. Per confermare quello che si è scritto di lui e che il critico letterario più anomalo d’Italia, Antonio D’Orrico, ebbe così a sintetizzare: «Il Trellinismo è un fenomeno unico al mondo». Sì, non demorde il titanico Piero Trellini, posseduto da una sorta di follia compilatoria, dal malcelato desiderio di riuscire a scrivere «libri mondo», uno dietro l’altro, per infine approdare – chissà – a ciò che Borges aveva solo provato ad immaginare: compilare il libro che contenga tutti i libri, tutte le parole, tutte le storie dell’universo.
L’ha rifatto. Dopo essere stato laureato in lettere, investigatore privato, venditore ambulante, collaboratore del Ministero delle Finanze – è lui che ha chiamato «Unico» il modello che ha sostituito il 740: proposta vincente pagata un milione e mezzo di lire, all’epoca – e giornalista per svariate testate, nel 2019 ha stupito tutti e vinto importanti premi con «La partita» (Mondadori). 600 pagine per raccontare tutto quello che ha a che fare con Italia vs Brasile, Mondiali di Spagna 1982, 3 a 2 per «i nostri». Un libro che ha riscritto il modo di raccontare lo sport in Italia.
La stesura di un simile volume avrebbe steso molti, non il nostro. Nel 2021 replica con quasi 600 pagine: «Danteide» (Bompiani) è tutto quello che avreste voluto sapere sull’Alighieri e non avete mai osato chiedere.
Finito? Macché. L’anno scorso ha sfornato «L’affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus» (Bompiani). Poco meno di 1400 pagine, candidate allo Strega con la motivazione che il Trellini enciclopedico ciclopico onnivoro, è «capace di tenere insieme in maniera appassionante vicende materiali e evenemenziali, fatti del costume e della cultura, modernariato e belle arti, documentaristica e narrativa tout court».
E, ora, appunto, l’ha rifatto. È salito sull’automobile che ha segnato un’epoca e ci squaderna un che di vertiginoso, talmente tanto, talmente troppo che il lettore potrebbe essere tentato (errore!) dalla resa, dalla bandiera bianca. Perché sono 714 pagine, fitte fitte, quelle di «R4», sottotitolo «Da Billancourt a via Caetani» (Mondadori, 25 euro).
Il nostro ha preso alla lettera Louis Renault, il fondatore (1898) della casa automobilistica, che ebbe a dire: «I nostri giorni sono contati, la nostra vita è molto breve, è quindi umano cercare tutto ciò tutto ciò che, nel tempo a noi concesso, ci permette di abbracciare un orizzonte più ampio. È dalla velocità che l’automobile ha imparato a conoscere il valore del tempo». Per cominciare la frase è l’esergo del romanzo di Trellini. Romanzo? Anche saggio storico, se volete. Di certo, vertiginoso viaggio attraverso la storia della Renault, dentro la storica fabbrica di Billancourt, roccaforte della classe operaia più politicizzata di Francia: ora non c’è più, è stata rasa al suolo e la cittadella di arti plastiche e visive che ha preso il suo posto è stata chiamata… R4. Come la macchina venduta in trenta milioni di esemplari che Trellini racconta con una messe sbalorditiva di notizie, aneddoti, storie, nomi. Tre gli atti che l’autore mette in scena: la Renault, la R4, la Renault di Moro. Ciascuno declinato nei mille rivoli che la storia, il costume, la cronaca hanno svelato alla sua certosina ricerca. Scrive di come «quel muso (della R4, va da sé, ndr) suscitava simpatia. Ma forse nascondeva la sua vera essenza. Un retro dotato di un grande portellone con un pianale disteso per agevolare le operazioni di carico». Su quel pianale venne deposto il cadavere di Aldo Moro, che le Br fecero ritrovare in via Caetani. Le Br nate sulla scia di «Sinistra proletaria», la rivista di Curcio & co. che si ispirava alla «Gauche Proletarienne» francese che aveva la sua roccaforte proprio a Billancourt, nelle officine Renault. Trellini, dopo aver raccontato del marchio francese nella prima e seconda guerra mondiale, sale sulla R4 per attraversare gli anni Cinquanta, il Sessantotto (Trento ottiene più di una citazione), i fuochi della lotta armata e i giorni che come pochi altri hanno segnato il Novecento italiano: quelli del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta. Nella R4 amaranto di via Caetani si compie un qualcosa che scuote oltremodo: Trellini lo racconta da ogni punto di vista, da ogni angolazione. Anche da quella di Filippo Bartoli, il proprietario di quella vettura, che le Br gli rubarono sotto casa e che non avrebbe più riavuto. Si fermò, la sua R4, a 253.839 chilometri percorsi, prima di via Caetani. Su una R4 come quella, macchina immutabile, persino simbolo – per chi la guidava – di un modo di interpretare il mondo, erano saliti in molti, lungo la storia, e Trellini li racconta tutti. Quelli che avevano lavorato a Billancourt: iDeng Xiaoping, Robert Doisneau, Simone Weil, Georges Brassens. Su quella macchina racconta Henry Ford, Adolf Hitler, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Clare Boothe Luce, George Marshall, Eduardo De Filippo, George Patton, Jean-Paul Sartre, Le Corbusier, Giangiacomo e Inge Feltrinelli, Sandro Pertini, Renato Curcio, Pier Paolo Pasolini, Henry Kissinger, Paolo VI e molti, moltissimi altri. E su una R4, il 9 maggio 1978.