L'INTERVISTA
mercoledì 16 Agosto, 2023
di Margherita Montanari
Tra le direttive di Bruxelles, le ripercussioni del cambiamento climatico, degli insetti «nemici» delle colture del territorio, la carenza di manodopera e la redditività in calo, l’agricoltura sta attraversando una fase critica. Una transizione. La beffa è che tante aziende che avevano cominciato ad adeguare il passo, oggi si trovano in seria difficoltà. Ripagare i mutui aperti per investire in una stalla più moderna, per comprare un macchinario di ultima generazione o un impianto più efficiente è diventato più complicato. La causa sono «i tassi d’interesse alle stelle», che portano a spendere «anche di 4.000 euro in più per ripagare un debito di 100.000 euro». Un rincaro che tocca anche «la capacità di spesa dei consumatori ridotta, che si riflette in nuovi indirizzi d’acquisto dei generi alimentari». Nel tracciare il quadro dell’agricoltura in provincia, Paolo Calovi, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori del Trentino (Cia, l’associazione che rappresenta circa tremila delle undicimila aziende agricole, agrituristiche e zootecniche del territorio) mette in luce le criticità che hanno portato il settore a perdere risorse e, di conseguenza, presa sul territorio.
Calovi, che fase stanno attraversando le aziende agricole trentine?
«Dal 2021 il reddito delle aziende agricole è in costante calo. Colpa dell’aumento dei costi, in parte legato alla guerra in Ucraina, e dei sovraccarichi amministrativi. Cosa che toglie molto tempo ad attività che spesso contano quasi unicamente sul titolare. Non da ultimo, influisce l’aumento dei tassi d’interesse. Mette in difficoltà soprattutto quelle aziende giovani che hanno fatto investimenti importanti».
Quanto pesa sull’attività delle vostre imprese il caro tassi?
«In media i costi dei mutui sono aumentati del 4%. Un’azienda che ha chiesto un prestito di 100 mila euro, ne paga quasi 4.000 in più a conti fatti. E poi l’aumento del costo del denaro incide anche sui consumatori. Il loro potere d’acquisto inferiore aggrava la nostra situazione. Non possiamo tenere i prezzi bassi, perché le nostre aziende agricole hanno costi di produzione più elevati rispetto all’agricoltura industriale».
Dove riscontrate maggiori criticità?
«Nel settore zootecnico, che è anche quello che ha fatto maggiori investimenti. Per rendere più moderne le stalle, ci sono anche investimenti da un milione. Ora difficili da ripagare. A maggiorazione considerato anche il prezzo del latte alimentare, che retribuisce 0,50 euro al litro, si avvia a costare 40 centesimi».
Si perdono superfici coltivate?
«Il calo è costante. Da 15mila aziende di pochi anni fa siamo passati a 10 mila aziende. Tra 2022 e 2023 hanno chiuso una ventina di stalle. Il calo, da un lato, indica una professionalizzazione delle realtà che restano, dall’altro una perdita di superfici coltivate. Poi ci sono anche aziende agricole che continuano a lavorare, ma scegliendo di ridurre la propria area coltivata. E questo significa avere più territorio abbandonato. Ma anche perdere un presidio idrogeologico: sono i coltivatori che regimano le acque e mantengono il terreno».
L’altro nodo è il reperimento della forza lavoro.
«Reperire manodopera specializzata in agricoltura diventa sempre più complicato. È la sfida del futuro. Ci sono molti meno lavoratori in arrivo da Romania e Slovacchia o Polonia. E nei Paesi concorrenti – Germania e Olanda principalmente – danno stipendi più alti, anche perché i costi a carico del lavoratore e dell’imprenditore inferiori. Il decreto flussi non è una grande boccata d’ossigeno per l’agricoltura trentina. Aiuta a reperire professionalità per impegni più lunghi, non tanto appetibili per la stagionalità».
In vista della raccolta 2023, le aziende hanno manodopera?
«Abbiamo ancora qualche realtà con problemi di reperimento. Siamo sotto organico di un 10%. Spesso pensiamo di avere collaboratori, ma poi all’ultimo disdicono. Un’azienda della Val d’Adige che ha già iniziato a lavorare ha avuto tre disdette su quattro lavoratori a pochi giorni dall’inizio».
L’automazione del lavoro nei campi potrà aiutare?
«Non tutti. In vendemmia si potrà arrivare a meccanizzare la raccolta. Alcune sperimentazioni sono state già avviate. Ma in Trentino è difficile nella maggior parte dei territori per l’orografia. E poi va considerato che alcuni prodotti, come il Trento Doc, hanno caratteristiche che richiedono una raccolta e vinificazione manuale».
Come sta il settore vitivinicolo?
«È il settore che sta meno peggio. Il fenomeno Trento Doc fa da traino in modo importante. Si prospetta un’annata con qualità ottima e quantità importante. Quanto ai tempi, siamo in ritardo di 9-10 giorni rispetto al 2022. La vendemmia dovrebbe essere in partenza dopo il 20 agosto. Questo comporterà qualche difficoltà con il reperimento della manodopera locale».
Perché?
«È vero che l’estensione dei voucher ci aiuta a rilanciare la collaborazione occasionale. Ma solitamente, per la vendemmia, lavorano molti ragazzi in pausa estiva dallo studio. Se ritarda il periodo di raccolta, la nostra attività si sovrappone all’inizio delle lezioni o degli esami. C’è chi non riuscirà a venire».
Stanno cambiando le produzioni?
«Notiamo che ai produttori è sempre più richiesta la produzione di Chardonnay, Pinot nero e base spumante. È l’effetto Trento Doc. Un’area della val di Cembra è stata trasformata interamente per il consorzio delle bollicine».
Anche la viticoltura, così come le coltivazioni di piccoli frutti e di mele, sono state aggredite, negli ultimi anni, da fitopatie o da insetti, come la drosophila e la cimice asiatica. Di poche settimane fa anche l’allarme della presenza del coleottero giapponese.
«Di questo è stata riscontrata la sua presenza in Vallagarina, ed è giusto monitorarlo, ma senza allarmismi. È stata un’annata difficile per la peronospora e la flavescenza, anche se con una risposta concertata e dura (l’obbligo di estirpo e la clausola di blocco del fascicolo aziendale, ndr) stiamo andando nella giusta direzione. Da un mese poi è cresciuto l’allarme drosophila per i piccoli frutti. Visto che ama climi freschi e colpisce i frutti in maturazione, ha trovato condizioni ideali per proliferare. È aumentata di 10 volte rispetto all’anno scorso. Soprattutto in Valsugana e nella zona di Baselga di Pinè. Chi ha coltivato la ciliegia senza protezione, non ha raccolto. La sensazione dei produttori è che siamo ancora lenti nel trovare una risposta».
La normativa Ue per il raggiungimento della neutralità climatica chiama mette in campo una serie di misure molto ambiziose, che chiedono un ripensamento anche dell’agricoltura.
«Le normative non tengono conto del fatto che le aziende trentine hanno caratteristiche diverse rispetto all’agricoltura industriale e di aree pianeggianti. La cooperazione, il mettersi insieme, ci ha aiutati a sormontare problemi grossi negli anni. Ma l’impronta europea, che non riconosce l’unicità del territorio di montagna, rischia di affossarci».
Un altro tema che vi riguarda è la gestione dei grandi carnivori.
«Prima ancora di essere un problema agricolo è un problema di sicurezza pubblica. Raccogliamo storie umane di angoscia e difficoltà. Di gente che in montagna ci va per lavorare. Per falciare i prati, tagliare la legna, per garantire la pulizia delle strade e delle canalette. Per garantire la manutenzione del territorio. L’iniziativa per l’abbattimento dei due lupi di Ala speriamo apra la strada a un maggior equilibri».
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