La storia
lunedì 10 Marzo, 2025
L’amore, la medicina e la resistenza: vita e morte del partigiano Mario Pasi
di Sandro Schmid
80 anni fa in questo giorno il partigiano veniva impiccato nel Bosco delle Castagne

Ravenna 21 luglio 1913. Caldo torrido in quel campo di grano color dell’oro. Sandrina, è al nono mese. Con il suo cappello di paglia non rinuncia alla mietitura di quelle preziose spighe. Le mani sulla pancia, con un lamento chiama le compagne. Un vagito. Il piccolo, come in un quadro di Van Gogh, è al petto di sua madre. Il padre Enrico Pasi arriva trafelato e lo alza verso il cielo. Entrambi i genitori sono romagnoli mazziniani e, dopo il 1921, comunisti per tutta la vita. Operaio lui, tanti lavori Sandrina.
A scuola con Zac
Mario, figlio unico, lo vogliono far crescere bene, di sani principi, istruito. Al liceo studia assieme all’amico del cuore Benigno Zaccagnini, il futuro «onesto Zac» leader della Dc. Nel 1931, s’iscrivono alla Facoltà di Medicina di Bologna. L’amicizia si allarga a Mario Tobino il futuro poeta-scrittore e con Aldo Cucchi che sarà il capo della Resistenza bolognese. Mario s’impegna molto nello studio. Ama la libertà e non sopporta il fascismo. Si laurea a pieni voti e si specializza in Belgio in malattie tropicali. Nel 1938 tenta di arrivare in Spagna. Ma è troppo tardi. La guerra è ormai vinta da Franco. Si specializza anche in ostetricia. Il primo novembre 1938, Mario Pasi prende posto all’ospedale S. Chiara di Trento. Un giovane alto, atletico, capelli scuri, occhi penetranti, un sorriso smagliante. Un fascino tutto romagnolo. Per le sue capacità e disponibilità, specie con i pazienti meno abbienti, si conquista subito la stima dei colleghi, comprese le suore, anche se non è credente. Incoraggiato da Andrea Mascagni «Fausto», ricuce, nella massima segretezza, la rete clandestina del Pci.
L’amore e la guerra
Nell’aprile del 1939 esplode l’amore con la dolce ventenne insegnante cattolica Ines Pisoni, la futura partigiana «Serena». Alla fine dell’anno, si respira aria di guerra. Pasi è richiamato in servizio come tenente medico del 7° Reggimento Alpini della Divisione «Pusteria» al confine con la Francia. Mussolini dichiara la guerra a fianco di Hitler. Nel dicembre 1940, Pasi è sul fronte dell’Albania. Un massacro. In Montenegro è curato dalla malaria. Rimpatria nel 1941 e in settembre riprende servizio al S. Chiara. Riabbraccia Ines. Riprende la direzione della rete clandestina comunista. Alla fine del 1942, con «la dattilografa» Ines, ciclostila il «Proletario» che continuerà a essere pubblicato, in varie sedi mobili, fino ai giorni della Liberazione. Il 25 luglio 1943 cade il fascismo. A Trento, manifestazioni di giubilo nelle fabbriche e in città dove si cambiano i nomi delle strade.
Bombe e deportazioni
2 settembre 1943. Il primo bombardamento alleato sulla città distrugge il quartiere popolare della Portèla con centinaia di vittime. L’8 settembre, l’esercito tedesco invade l’Italia. A Trento i primi 50 militari italiani morti per la vana difesa delle caserme. Inizia la deportazione in massa dei nostri militari in Germania. I trentini si prodigano ad aiutare gli sbandati a fuggire e tornare a casa. Centinaia i militari feriti ricoverati al S. Chiara. Pasi, con molti stratagemmi e la collaborazione dei colleghi medici, infermieri e suore ne mette in salvo moltissimi in barba al controllo delle Ss. Con il conte Manci, dà vita al primo Comitato di liberazione nazionale di Trento e ai primi nuclei partigiani. La Gestapo indaga. Pasi sente il pericolo. Con Manlio Silvestri «Monteforte», poi impiccato a Sappada, e Ferdinando Tonon «Marin», organizza i partigiani della «Battisti» in Val Cadino e quelli della Rotaliana e Val di Cembra. Con Riccardo Endrizzi, il comandante «Pedro», fonda i Gap di Trento, il collegamento con Giovanni Parolari «Pedrin», Dante Dassatti «Dario» nel Basso Sarca e con il PCI del Triveneto a Padova.
La resistenza
Domenica 20 febbraio 1943, Pasi «Montagna» parte per il bellunese come commissario politico della «Mazzini» e poi della Divisione «Nannetti». Ines lo accompagna in treno fino a Primolano. Un distacco struggente. Poi Ines «Serena» si trasferirà a Ravenna presso mamma Sandrina e sarà un importante membro della Resistenza emiliana. Pasi le scrive: «Tante cose vorrei. Essere felice, avere una casa, dei bimbi con te, ma quando uno si mette su una strada come la mia, la sua vita non appartiene più a lui solo».
«Montagna» è apprezzato da tutti, per la sua visione politica unitaria, bravo nel guidare le operazioni di guerriglia e per la sua opera di promozione politica e ideale fra i giovani. Quando un gruppo di giovani trentini, con a capo Remo Callone «Lucio», disertano dal Cst per unirsi ai partigiani della «Mazzini», «Montagna» si precipita ad abbracciarli: «Ecco i miei giovani trentini! Come va a Trento? Lo sapete che siamo circondati? Ma scapperemo a Monte Cavallo e anche questa volta la metteremo in culo ai tedeschi! State attenti agli ordini di questa sera. Ma mi raccomando. Preferisco avere partigiani vivi che eroi morti!».
Settembre 1944. Per una settimana i partigiani resistono all’imponente retata al Pian del Cansiglio con perdite gravissime da entrambe le parti. Poi, divisi in due-tre, molti sfuggono all’accerchiamento. «Montagna» ha il compito di riorganizzare le file partigiane. Bastone, zaino in spalla con sacco a pelo, cannocchiale, armi e l’inseparabile borsa con gli attrezzi medici.
Il tradimento, l’arresto
Martedì 7 novembre 1944, nella Valle del Bois, alcuni partigiani gli chiedono di aiutare una contadina per un parto difficile. Non sa dire di no. Il bambino nasce bene, ma una spia lo tradisce. Il giorno dopo la polizia fascista lo sorprende in un casolare isolato e lo consegna alla Gestapo. Nel carcere di Belluno è torturato dal tenente Georg Karl. Con le sue «cure», alla fine, tutti finivano per parlare. Per iniziare 25 colpi di nervo di bue, poi la corrente elettrica. Pasi non parla. «La cura» prosegue per oltre 3 mesi. Una gamba rotta in cancrena, la corrente elettrica agli orecchi e ai genitali. Nel ginocchio gli conficcano nitrato d’argento e spilloni roventi. Ma Pasi non parla. Su un biglietto ai partigiani scrive: «Non ne posso più, portatemi il veleno». Mario Bernardo il comandante «Radiosa Aurora» organizza un attentato ai militari tedeschi. Al Bosco delle Castagne, nei pressi dei tiri a segno, piazza la dinamite sotto ritratti contro Hitler. Quando arriva un folto gruppo di tedeschi, li fa saltare in aria. Per rappresaglia il Comando tedesco ordina l’impiccagione di 10 prigionieri partigiani. Fra questi Mario Pasi, ridotto allo stremo.
L’impiccagione
Il 10 marzo 1945 portano tutti al Bosco delle Castagne, sopra Belluno. Pasi lo trasportano con una Topolino. All’autista bellunese sussurra: «Ti prego di dire a mia mamma che io muoio per l’ideale per il quale ho combattuto e sofferto. Che non pianga, non si disperi, muoio sereno perché ho fatto il mio dovere». L’ impiccano a due a due sui rami dei castagni. Il suo torturatore nazista tenta l’ultima carta: «Parla e ti lascio libero!». Mario Pasi, lo guarda fisso come per sfida. Non parla. È alzato con una scala e impiccato per ultimo.