la rubrica

mercoledì 16 Aprile, 2025

«Lanterna magica»: quattro film da non perdere al cinema (segnalati da Michele Bellio). Eden, Nonostante, Death of a Unicorn, Aguirre

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Perla da recuperare: «Aguirre Furore di Dio», disponibile in streaming su Amazon Prime video

EDEN

(USA 2024, 129 min.) Regia di Ron Howard, con Jude Law, Ana de Armas, Sydney Sweeney, Vanessa Kirby, Daniel Brühl

Film d’apertura del 42° Torino Film Festival, dopo l’anteprima mondiale a Toronto nel settembre 2024, arriva ora nelle sale italiane «Eden», ventottesimo lungometraggio di Ron Howard, regista di «Apollo 13», «Rush» e premio Oscar per «A Beautiful Mind». Ispirato a una vicenda reale e sceneggiato a partire dalle memorie di due sopravvissute, «Eden» è, nelle parole del regista, un film che «sarebbe potuto piacere a Werner Herzog» o a chi, come lui, è attratto da situazioni estreme. La storia si apre nel 1929, in un’Europa scossa dalla crisi post-bellica e dal crollo di Wall Street. I venti del nazionalismo soffiano sempre più forti e c’è chi decide di andarsene il più lontano possibile per sfuggire a un nuovo conflitto. È il caso del medico e filosofo tedesco Friedrich Ritter (Jude Law), che si ritira con la compagna Dore Strauch (Vanessa Kirby) sull’isola deserta di Floreana, nell’arcipelago delle Galapagos. Qui spera di elaborare una nuova filosofia in grado di salvare l’umanità da se stessa. I giornali tedeschi lo celebrano come pioniere e ben presto altri seguono il suo esempio: nel 1932 arrivano il veterano di guerra Heinz Wittmer (Daniel Brühl), la giovane moglie Margret (Sydney Sweeney) e il figlio di lui, gravemente malato. La convivenza, tuttavia, si rivela difficile: Ritter non presta mai aiuto e la famiglia è costretta a sopravvivere in una zona impervia e arida dell’isola. A complicare ulteriormente le cose è l’arrivo della sedicente baronessa Eloise Wagner de Bousquet (Ana de Armas), accompagnata da due bodyguard-amanti e intenzionata a trasformare l’isola in un resort per turisti milionari. Con echi di William Golding e riflessioni darwiniane sull’adattamento, «Eden» mette in scena un microcosmo umano che riflette le tensioni dell’epoca e quelle del presente: l’impossibilità di sfuggire al conflitto, la risposta più resiliente e meno distruttiva delle donne rispetto agli uomini, la difficoltà di armonizzare codici morali differenti. Ne emergono ritratti vividi di individui che si aggrappano ai propri ideali o alle proprie capacità – la filosofia, la famiglia, la seduzione – nel tentativo di affermarsi in un ambiente ostile. L’ambientazione è affascinante (e scopertamente metaforica, come il titolo del film), le interpretazioni notevoli (sorprendono soprattutto Kirby e Sweeney) e la regia di Howard è, come di consueto, professionale, qui con un tocco più aspro del solito. Tuttavia, il film soffre di varie incertezze di tono e ritmo: oscilla tra thriller, dramma ed elementi da commedia nera senza trovare sempre il giusto equilibrio. Il risultato è uno spettacolo visivamente curato e ben costruito, che però rischia di coinvolgere più per l’ambientazione che per il dramma umano che vorrebbe raccontare.

NONOSTANTE

(Italia 2024, 92 min.) Regia di Valerio Mastandrea, con Valerio Mastandrea, Dolores Fonzi, Lino Musella

Dopo un incipit in cui l’immagine sfocata lascia gradualmente spazio a un funerale, il protagonista di «Nonostante» (Valerio Mastandrea) attraversa in modo quasi surreale la struttura ospedaliera in cui la storia è ambientata, fino ad introdursi da una finestra in una stanza precisa. Nessuno pare accorgersi di lui e lo spettatore inizia subito a porsi domande. Il mistero viene presto svelato: i personaggi del film sono la proiezione – o forse l’anima – di coloro che si trovano in coma. Vivono in una sorta di limbo, sospesi tra la vita e la morte, dialogano tra loro e si muovono liberamente nel mondo, senza lasciare traccia e senza poter interagire con i vivi, salvo rarissime eccezioni. C’è solo una regola da temere: quando qualcuno vicino a loro sta per morire, si alza un vento fortissimo, capace di trascinarli via. Il protagonista, bloccato in questa condizione da molto tempo, ha sempre vissuto la sua sospensione con una certa leggerezza. Ma l’arrivo di una nuova paziente, sistemata nella sua storica stanza mentre lui viene spostato in un altro reparto, cambia tutto: lo costringe a rimettere in discussione se stesso e a riflettere sul desiderio – o meno – di tornare alla vita. Dedicato al padre scomparso nel 2023, il secondo film da regista di Mastandrea (apertura della sezione Orizzonti a Venezia) è un’opera personale e intima, costruita su misura per la sua sensibilità d’attore. Accanto a lui un cast di ottimi comprimari arricchisce il racconto con umanità e misura. «Nonostante» affronta con delicatezza temi profondi come l’elaborazione della perdita, la memoria, la paura di morire soli. Con una narrazione poetica che è anche una toccante storia d’amore e un tappeto musicale evocativo firmato dall’islandese Tóti Guðnason, Mastandrea costruisce un film che parla sottovoce, ma arriva dritto al cuore. Non tutto è perfettamente a fuoco, manca un po’ di sintesi e talvolta il racconto sembra avvolgersi troppo su se stesso, ma nel panorama del cinema italiano contemporaneo una tale sincerità nel trattare sentimenti complessi è preziosa. Si esce dalla sala con la sensazione di aver scoperto un piccolo tesoro che tocca corde profonde e universali.

DEATH OF A UNICORN

(USA/Ungheria 2024, 104 min.) Regia di Alex Scharfman, con Jenna Ortega, Paul Rudd, Will Poulter, Richard E. Grant, Téa Leoni

Il debutto alla regia del produttore e sceneggiatore Alex Scharfman si presenta come una commedia nera che mescola elementi horror e fantasy, in una ricetta che rispecchia, sotto certi aspetti, il carattere delle produzioni A24. Mentre attraversano in auto una riserva naturale canadese diretti alla tenuta del’industriale farmaceutico Odell Lepold (Grant), Elliott Kintner (Rudd) e sua figlia Ridley (Ortega) investono un cucciolo di unicorno. Convinti sia morto, lo trasportano alla villa dei loro ospiti, dove Leopold, gravemente malato, vive insieme alla moglie (Leoni) e al figlio (Poulter). L’unicorno però si sveglia e ben presto si scopre che il suo sangue e il suo corno hanno straordinarie proprietà curative, aspetto che interessa non poco tutti i personaggi. Solo Ridley cerca di approfondire questo mistero e insiste per liberare la creatura, potenzialmente molto pericolosa. La prima mezz’ora del film è qualcosa di oggettivamente nuovo, bizzarro e coinvolgente. L’idea è interessante: giocare in modo sovversivo con l’iconografia dell’unicorno, utilizzandolo per una critica al capitalismo (stavolta farmaceutico) e inserendo addirittura una nota sull’elaborazione della perdita. Per unire questi tre aspetti il film alterna alcuni momenti più leggeri a sequenze più tese, ma la combinazione dei registri non sempre riesce a bilanciarsi in modo efficace, soprattutto man mano che il film prosegue. Il ritratto degli oligarchi farmaceutici – lei impegnata nelle ONG ma senza capirci davvero granché, lui cacciatore di fauna africana – finisce per sembrare più un cliché che una vera e propria satira e strappa più di una risata solamente quando interviene l’odioso figlio, cafone arricchito e perennemente fuori posto, con battute come «vado nell’idromassaggio, è lì che do il mio meglio». La mescolanza di registri narrativi, sulla carta potenzialmente efficace, finisce per creare una certa confusione, senza mai trovare un pubblico di riferimento davvero preciso. Il film non fa abbastanza ridere, né riesce a spaventare o ad essere sufficientemente splatter e la critica sociale resta tendenzialmente vaga. Rimane una visione gradevole e senza pensieri per chi apprezza questo tipo di esperimenti, con tanto di citazione esplicita della sequenza dei velociraptor di «Jurassic Park», culminante in un’esecuzione di pregevole plasticità. Certe scelte estetiche, come gli effetti speciali in stile b-movie, sono tutto sommato funzionali al tipo di narrazione e per alcuni momenti la sospensione dell’incredulità regge l’assurdità del contesto.

STREAMING – PERLE DA RECUPERARE

AGUIRRE, FURORE DI DIO

DISPONIBILE SU AMAZON PRIME VIDEO

(Aguirre, der Zorn Gottes, RFT 1972, 94 min.) Regia di Werner Herzog, con Klaus Kinski, Helena Rojo

 

Quest’anno il Leone d’Oro alla carriera della Mostra di Venezia sarà attribuito a Werner Herzog, uno dei più radicali e visionari registi del cinema tedesco e mondiale. Per celebrarlo vale la pena (ri)scoprire su Amazon Prime quello che è uno dei suoi capolavori assoluti: «Aguirre, furore di Dio» (1972), prima e leggendaria collaborazione con l’attore Klaus Kinski. Ambientato nel cuore della giungla peruviana, il film racconta la tragica spedizione di un gruppo di conquistadores spagnoli del XVI secolo, in cerca dell’El Dorado al seguito di Gonzalo Pizarro. Costretti a discendere il fiume a bordo di zattere per trovare viveri, gli spagnoli affrontano la natura selvaggia e gli indios e il loro viaggio si trasforma presto in una discesa nella follia e nell’ossessione, fino alla completa dissoluzione. Al centro di tutto c’è Don Lope de Aguirre, interpretato da un ipnotico Kinski, che incarna la follia megalomane del potere e la rottura definitiva con la realtà. Un film mitico, che ha riscritto le regole del cinema: girato in condizioni estreme, con una troupe ridotta e una produzione quasi improvvisata, riesce a restituire con potenza fisica e visionaria il senso del sublime e dell’insensato. Fin dalla straordinaria sequenza iniziale, con la spedizione che discende montagne di cui non vediamo la cima, Herzog mette in scena la natura come forza primordiale e indifferente, contro la quale l’uomo lotta invano. E il suo film, aiutato dalle musiche dei Popol Vuh, è uno dei vertici del “cinema del limite” del regista, dove i personaggi sono spesso antieroi che si perdono nei loro deliri e dove l’ambientazione diventa personaggio. Un film che ancora oggi sfida, ipnotizza e resta nella memoria. Un punto di partenza ideale per affrontare l’opera di un autore che ha sempre cercato, con ostinazione, immagini mai viste prima, capaci di rappresentare l’inafferrabile.