sport
martedì 18 Febbraio, 2025
di Stefano Frigo
Non ama le luci dei riflettori e rifugge i taccuini. Sempre con educazione, per carità, ma la sostanza non cambia. Eppure dietro la prima storica Coppa Italia di Serie A conquistata dall’Aquila Basket domenica sera a Torino di Rudy Gaddo c’è tanto. Il direttore sportivo dei bianconeri infatti ha l’onere e l’onore di costruire ogni estate il roster della squadra, in piena collaborazione con il coach di turno e il club ben s’intende.
Gaddo, a mente se non fredda tiepida, cosa si prova ad aver raggiunto un traguardo così prestigioso?
«È un mix di emozioni e sentimenti che devo ancora mettere in ordine. Però vi posso raccontare un aneddoto per provare a farvi capire quello che, tutti insieme, stiamo vivendo. Come Dolomiti Energia passiamo per, e direi che solitamente siamo, una società organizzata che lascia davvero poco al caso. Alzare un trofeo era però un’esperienza che ci mancava e sapete cosa è successo domenica? Dopo la cena insieme alla squadra, allo staff tecnico e medico abbiamo lasciato l’hotel. Peccato che lì sia rimasta anche la Coppa. No, non vi preoccupate l’abbiamo recuperata quasi subito».
Quando ha capito che questa Final Eight non ve l’avrebbe tolta nessuno?
«A un minuto dalla fine della finale con Milano, quando ho visto che gli avversari non commettevano più falli.
Credo di conoscere sufficientemente il basket per non dare mai nulla per scontato. Più in generale però penso sarebbe più corretto parlare di tutto il percorso torinese».
E quindi cominciamo con i quarti di finale con Reggio Emilia e poi l’incrocio con Trieste.
«Esatto. La sfida che più mi preoccupava era proprio quella con l’Unahotels, storicamente in coppa le posizioni in campionato contano e incidono molto relativamente. Infatti solo negli ultimi 5 minuti siamo riusciti ad avere la meglio e superare gli emiliani. Vedendo Trapani-Trieste, poi, i timori sono nuovamente riemersi. Era evidente come i giuliani fossero totalmente in missione, concentrati, sul pezzo e pronti a tutto. Non a caso l’incrocio con loro si è deciso in extremis dopo un match tiratissimo durante il quale abbiamo faticato molto».
E della finale cosa ci dice dal punto di vista tecnico?
«Contro Milano eravamo noi quelli in missione. Diciamo che l’Olimpia avrebbe potuto sconfiggerci solo giocando su livelli davvero importanti e magari non ci è riuscita. Bisogna, ed è giusto, aggiungere che lo staff tecnico ha preparato l’incrocio con l’Armani alla perfezione in meno di 15 ore. Meritano davvero dei grandissimi complimenti. Concludo la risposta a questa domanda dicendo che sin da quando siamo partiti da Trento una settimana fa avevo capito una cosa: questo gruppo non sarebbe tornato a casa con dei rimpianti. Le facce dei giocatori dicevano e trasmettevano tutto».
Quanto sente sua questa vittoria?
«Sono parte di un gruppo molto più ampio dove tutti hanno dei ruoli ben definiti e dei compiti importanti. Ognuno di noi ha messo un mattoncino per contribuire in maniera determinante al raggiungimento dell’obiettivo, questo si è visto anche domenica dopo la sirena finale quando sul parquet gli abbraccio non erano certo esclusivi».
Molti tifosi sono giù preoccupati in vista di un futuro che molto probabilmente vedrà partire la quasi totalità dei giocatori che stanno facendo volare così in alto l’Aquila. Cosa ci può dire a tal proposito?
«È semplicemente troppo presto per parlarne. Ora avremo una settimana libera e poi saremo attesi da 2-3 mesi, speriamo il più possibile, di stagione. Intanto godiamoci ancora un po’ questa vittoria, ma non troppo. Ricordo a tutti cosa è successo a Napoli giusto un anno fa: dopo aver alzato la Coppa Italia è entrata in una profonda crisi. Guai a perdere la nostra identità. Questo dev’essere il mantra da oggi alla fine degli impegni ufficiali. Poi vedremo cosa accadrà».