La storia
venerdì 11 Ottobre, 2024
di Alberto Folgheraiter
«Ai 19 agosto 1910 Sua Altezza Reverendissima il vescovo partiva da Trento con un’automobile della Unione Trentina Imprese elettriche in compagnia di due segretari e di un cameriere alla volta di Cembra. […] Il paese era riccamente pavesato, in parecchi punti centrici erano eretti archi trionfali che dimostravano la letizia generale per questa augusta visita». Così la relazione finale della visita pastorale del principe vescovo Celestino Endrici (1904-1940), ultimo vescovo di nomina imperiale austriaca, al decanato di Cembra. Dal 19 al 31 agosto «l’Altezza Reverendissima» visitò tutte le comunità della valle. Per poi proseguire in altre contrade. Celestino Endrici compì due visite alla diocesi che comprendeva, allora, anche dieci decanati «teutonici», la parte meridionale della provincia di Bolzano. Un secolo dopo il successore, non più principe ma «solo» arcivescovo (il titolo di arcivescovo fu attribuito all’Endrici nel 1929 dopo che, inutilmente, Mussolini aveva cercato di farlo trasferire a Bologna) comincia la sua prima visita alla diocesi di Trento (ridimensionata nel 1964 con la formazione della diocesi di Bolzano-Bressanone). L’arcivescovo Tisi conta di visitare una zona pastorale all’anno (le zone sono otto). La prima comprende la piana Rotaliana, l’altipiano della Paganella, Lavis e la val di Cembra.
Lauro Tisi non arriverà al santuario della Madonna dell’Aiuto, a Segonzano, domani (sabato 12 ottobre) alle 15, accompagnato da due segretari e da un cameriere. Arriverà, come un parroco, da solo, senza autista perché è in grado ancora di guidare la vettura. Comincerà la visita nella zona pastorale di Mezzolombardo partendo per l’appunto dalla val di Cembra. Accolto, certo, come si conviene per l’arcivescovo titolare della cattedra di San Vigilio ma senza archi e sparo di mortaretti. Non sono più tempi. Per taluni, magari, sarà la prima volta che vedono di persona l’arcivescovo, per altri sarà un fatto usuale. Poiché, in molte parrocchie si fa vedere, come quando era vicario generale, a dire messa in sostituzione di qualche prete o a presiedere funerali. Inutile aggiungere che Lauro Tisi conosce bene la realtà diocesana. E dove non la conoscesse a sufficienza basterebbe che andasse in incognito la mattina presto o la sera tardi. Troverebbe situazioni diverse e meno accoglienti di quelle di una visita ufficiale.
Perché la secolarizzazione, al pari dell’inverno demografico, ha portato un allontanamento diffuso: dalla Chiesa istituzione, dai suoi riti, dai suoi precetti. Lo ha detto bene, al nostro giornale, qualche settimana fa, il parroco della val di Cembra, Bruno Tomasi (1959), titolare di dodici parrocchie, costretto a fare lo slalom fra messe e funerali, battesimi e visite ai malati con sovrammercato di docenze all’università e impegni di studio: «Il 95% dei giovani battezzati dopo la prima comunione e la cresima non li vedi più».
L’arcivescovo Tisi lo sa bene e ne ha già anticipato i temi con un messaggio alla Diocesi: «La messe è molta». Scrive: «La visita pastorale avviene dentro quello che papa Francesco chiama «cambiamento d’epoca». Esso si riflette nel calo rapido e costante di praticanti, nel venir meno nelle vocazioni di speciale consacrazione, ma anche in una domanda di spiritualità nuova, seppure di non facile definizione». Di solito, argomenta, si pone in evidenza «la penuria di operai» ma si rischia di dimenticare in premessa «l’abbondanza della messe».
L’arcivescovo pone dunque l’accento su «ottimismo e fiducia per cogliere il raccolto che abbonda». Passando a spiegare le ragioni della visita, lo legge con il significato biblico dell’«amicizia» e della «sollecitudine». Per tale ragione, scrive l’arcivescovo Tisi, «vorrei che fossero le comunità a visitare sé stesse», chiamate come sono «a interrogarsi sul loro rapporto con Dio e sulla qualità della loro vita fraterna». Annuncia che lo stile del confronto tra vescovo e Comunità sarà con i consigli pastorali, i comitati parrocchiali e i consigli per gli affari economici. Il tutto, tenendo sullo sfondo tre temi già emersi nel cammino sinodale: giovani, donne e fragilità. Sono tre anche le «P» alle quali l’arcivescovo invita i devoti della diocesi a dare concretezza: Parola, Pane e Poveri. «Non c’è testimonianza – scrive ancora – senza l’attenzione prioritaria alle persone fragili».
Dalla prima visita generale del cardinale Bernardo Clesio (1514-1539), sono state poco più di una ventina in cinque secoli le visite pastorali dei vescovi tridentini. Nella Valsugana e nel Primiero, fino al 1786 di pertinenza della diocesi di Feltre, vi furono numerose visite di quei vescovi-conte. L’ultimo si trovò spogliato di gran parte della diocesi dalla sera alla mattina per ordine dell’imperatore di Vienna, Giuseppe II. Tanto che il pover’uomo (era il vescovo Ganassoni) morì di crepacuore due settimane dopo, a Venezia. In preparazione alla visita pastorale del vescovo Endrici (27 agosto 1910), il curato di Montesover, Isidoro Morandini (1877-1951) aveva osato suggerire «che in Seminario si dia molta maggior importanza all’eloquenza dando ai chierici per maestro un bravo oratore e facendo fare più esercizi di declamazione: il popolo apprezza molto questa qualità; e il clero farebbe assai più frutto». Bastasse l’eloquenza.