La testimonianza
venerdì 24 Febbraio, 2023
di Sara Alouani
Oggi è il primo anniversario dallo scoppio della guerra in Ucraina, un anno è passato dal primo bombardamento russo su Kiev, ma per Yana Zalishchuk il 24 febbraio non è solamente la data in cui la sua terra venne invasa, bensì è anche il giorno che le ricorda che suo marito, Mykhaylo, sta combattendo sul fronte rischiando la vita ogni giorno.
Dopo la prima storia del combattente Vitalyk Rudan («il T» di mercoledì) ora ne emerge un’altra: Mykhaylo Zazulya, 38 anni, di cui 17 vissuti a Trento, sposato, due figli e un impiego alla Furlani Carni come autista.
I viaggi con i medicinali
Con l’inizio del conflitto Mykhaylo, assieme alla moglie Yana, aveva iniziato a collaborare con l’associazione Rasom e si era fatto in quattro per conciliare il suo lavoro principale con l’attività di volontariato. «Grazie alla sua esperienza – ricorda Yana – aiutava a trasportare camion carichi di viveri e medicinali che venivano poi spediti in Ucraina. Aveva una cerchia di conoscenze molto ampia nell’ambito dei trasporti e spesso era lui a procurare autisti disposti a partire».
La tristezza e la partenza
Nonostante ciò, però, a Mykhaylo pareva di non fare abbastanza, «si sentiva inutile» dice Yana e racconta di un episodio avvenuto una sera a casa mentre per l’ennesima volta i coniugi si ritrovavano faccia a faccia in silenzio e con mille pensieri su un unico argomento: «Mykhaylo era sempre triste, non parlava mai e io volevo capire cosa gli stesse frullando in testa. Gli ho chiesto cosa avesse e lui mi ha risposto in modo secco: “Non so cosa ci faccio ancora qui”». A quel punto Yana si è alterata: «Vuoi andare in guerra? Vuoi lasciarmi da sola con due figli e un mutuo?». Una scena a cui Mykhaylo ha saputo rispondere con una semplice frase in tono rassegnato: «Va bene. Aiuto da qui come posso».
La partenza senza avvertire
Non era nemmeno passata una settimana quando Yana, un tardo pomeriggio mentre era al supermercato con la figlia di cinque anni, riceve la telefonata dal datore di lavoro del marito: «Mykhaylo è partito al fronte. Te l’ha detto?». In quel momento il mondo le crolla addosso: «Mio marito aveva avvisato Furlani e non lo aveva detto a me».
Alla rabbia per non averla avvisata segue quella per l’abbandono, l’idea del divorzio, e poi, con un po’ più di lucidità, la paura per la potenziale perdita del padre dei bambini. «Ero imbestialita e l’ho chiamato subito al telefono, ma non ha risposto, probabilmente aveva paura di affrontarmi. Non l’ho più cercato per settimane, ero troppo delusa».
Il primo contatto
La prima telefonata arriva da Ternopil, loro città natale, dove 20 anni prima si erano innamorati. Mykhaylo aveva seguito un percorso di addestramento militare e sarebbe partito l’11 aprile per combattere a 1200 chilometri di distanza dalla sua città, una località che Yana conosce ma che non può confidarci. «Ero ancora arrabbiata, abbiamo pianto entrambi ma esigevo delle spiegazioni e anche i bambini». Yana aveva già cercato di raccontare ai figli che il papà era dovuto andare via, ma il racconto diretto di Mykhaylo li ha aiutati a comprendere meglio la situazione: «Devo lavorare per salvare i bambini piccoli come voi dai cattivi e devo impedire che questa brutta gente arrivi fino a voi». Nessun accenno alla guerra, agli spari, alla morte anche se il figlio maggiore, a soli 10 anni, aveva già captato tutto dai discorsi degli adulti. «I bambini – dice Yana – capiscono molto più di quello che crediamo. Quando sto in silenzio mio figlio mi chiede se sto pensando al papà. Ed effettivamente è così».
L’incontro a Ternopil
Yana e Mykhaylo sono riusciti a vedersi due volte durante questi 365 giorni. La prima volta lo scorso settembre. «Ho preso coraggio e sono partita perché dovevo richiedere dei documenti per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Mio marito sapeva che sarei tornata a Ternopil per qualche giorno ma non mi aveva promesso di potermi incontrare». Invece Mykhaylo si è fatto trovare nella loro casa in Ucraina, non senza spaventare la moglie che non si aspettava che qualcuno entrasse senza annunciarsi. «Ero partita con l’idea di divorziare – ammette Yana – ero stanca e non potevo permettermi di lasciare il lavoro. Ma appena ci siamo rivisti è stato come se ci fossimo innamorati una seconda volta. È stato davvero emozionante». L’emozione si percepisce anche dal silenzio che per qualche secondo lascia spazio a un sospiro e a una soffiata di naso.
Anche un mese fa marito e moglie si sono incontrati, questa volta in modo ancora più inaspettato: «Mykhaylo mi ha chiamata una sera per dirmi che il giorno dopo avrebbe avuto una missione vicino a Ternopil. La mattina sono partita in pullman». I bambini sono rimasti con la nonna materna a Trento».
«Se devo morire, morirò»
A distanza di un anno dall’inizio della guerra le cose sono cambiate. Agli occhi di Yana le persone rimaste in Ucraina sembrano assuefatte dalla situazione «normalizzata» che ormai si protrae da 12 mesi. «Non scappano nemmeno più nei bunker. Non hanno più paura di morire». Anche Mykhaylo è come loro e un giorno le aveva detto «se devo morire morirò. Tu sai il perché».