L'INTERVISTA
sabato 8 Giugno, 2024
di Gabriele Stanga
Quello della fuga dei cervelli non è di certo un fenomeno nuovo in Italia, né tanto meno in Trentino. Un po’ più di allarme lo crea il fatto che il numero dei laureati che emigrano all’estero non accenna a rallentare, anzi è in continua crescita. Secondo l’Istat negli ultimi dieci anni sono usciti dal territorio circa 2.000 laureati e nel 2022 si è toccato il valore più alto dal 2013. Il dato non stupisce se rapportato a quello sui salari, in Trentino i più bassi di tutto il Nord Est ma colpisce in contrasto con il prestigio di cui gode l’Università di Trento, da anni stabilmente tra le migliori in Italia.
Sono i numeri più alti nella storia recente del Trentino, rettore Deflorian, come commenta questi dati?
«Sono dati che purtroppo non ci sorprendono più di tanto. Il fenomeno era già abbastanza conosciuto a livello di percezione. C’è un disallineamento evidente tra il livello formativo e le opportunità lavorative che i giovani possono trovare in Trentino. Inoltre, si arrivava da un periodo complicato come quello post Covid, in cui si doveva pensare alla ripresa delle attività economiche. Ora servirà recuperare e aumentare l’occupazione in Trentino»
Il problema sono i bassi salari o si deve guardare al welfare aziendale?
«Penso sia un mix delle due cose, ma al primo posto metterei i salari. Poi, ovviamente c’è anche un discorso legato ai servizi. Va considerata, inoltre, la propensione alla mobilità delle nuove generazioni. Molti vanno all’estero per fare un’esperienza di vita ma poi ritornano in Italia. Non c’è più l’idea ferma di lavorare vicino casa, anzi, c’è una maggiore predisposizione a spostarsi».
Contemporaneamente all’aumento degli espatri, però, sono anche calati i rimpatri.
«Per questo motivo serve un salto di qualità delle imprese trentine e delle strategie provinciali, non solo per richiamare i laureati trentini che vengono da fuori ma anche per attrarre sul territorio chi si laurea altrove. Se il bilancio tra uscite e ingressi di laureati fosse positivo, sarebbe già un miglioramento».
La facoltà di medicina potrebbe aiutare a migliorare la situazione?
«Medicina potrebbe aiutare a cambiare questo trend da due punti di vista. In primis, puntando a trattenere in Trentino professionalità di tipo sanitario e in secondo luogo contribuendo a migliorare la sanità dal punto di vista dei cittadini. Nel momento in cui si sceglie dove andare a lavorare, la qualità dei servizi può avere un impatto positivo. Migliorando la sanità probabilmente riusciremmo ad attrarre più giovani che rimangano sul territorio».
E come vede la nuova legge provinciale sul ricambio generazionale?
«Ho letto di questa legge. L’auspicio è che possa aiutare a migliorare il coinvolgimento delle nuove generazioni. Un problema generalizzato in Italia e senz’altro anche in Trentino è la scarsa valorizzazione delle persone più giovani. A un’età in cui Obama diventava presidente degli Stati Uniti, qui si viene considerati troppo giovani anche per mansioni che richiedono una responsabilità di livello base. Bisogna cambiare».