La curiosità
mercoledì 16 Novembre, 2022
di Mattia Pelli
Vedere una propria foto riemergere dal passato e vivere una nuova vita, finendo addirittura sulla scrivania di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe fare piacere a molte fotografe e fotografi in cerca di notorietà: così non è stato per Laurence Brun Lacombe, che di notorietà non ne aveva di certo bisogno, vista la sua carriera decennale. Anzi: la seconda vita che ha avuto un suo scatto, non l’ha per niente fatta felice. E questo nonostante sia una foto straordinaria.
Dopo aver visto l’immagine di Ennio Binelli scattata nel 1978 per le strade di Herat, che ritrae di spalle tre giovani donne, ci è venuta alla mente la sua fotografia del 1972. Laurence Brun Lacombe, ora in pensione, ha lavorato per anni come curatrice di mostre e pubblicazioni con Robert Delpire, editore e curatore specializzato in fotografia, al Centre National de la Photographie, poi confluito nel Jeu de Paume, il centro d’arte e luogo di esposizione parigino dedicato alla fotografia e al video. Le abbiamo chiesto prima di tutto un commento all’immagine di Ennio Binelli. “Questa foto di ragazze in gonna – dice – dimostra che durante la repubblica democratica di Daoud Khan le ragazze potevano finalmente vestire all’occidentale.”
Qual è invece la storia dietro la sua fotografia, che mostra tre giovani donne in minigonna nel pieno centro di Kabul sei anni prima?
E’ stato un attimo, mi sono ritrovata davanti queste tre ragazze e mi sono molto sorpresa per il modo in cui erano vestite, visti i rischi che stavano correndo. I mullah, i sacerdoti musulmani, potevano in qualsiasi momento gettare acido sulle loro gambe, come rappresaglia. Insisto sul fatto che questa visione è stata estremamente sorprendente, perché la maggior parte delle donne a quel tempo in Afghanistan era velata. Non dobbiamo trarre la conclusione sbagliata che “le ragazze erano libere a quel tempo”. Ho poi scattato anche una seconda foto, molto più sfumata, che mostra una giovane donna in gonna che cammina accanto a donne velate.
Rispetto alla sua foto, quella di Binelli sembra ritrarre una situazione molto più comune: le gonne nella foto sono più lunghe e una delle donne porta una valigetta 24 ore. Cosa ne pensa?
E’ vero, la sua foto è stata scattata sei anni dopo la mia, sotto la Repubblica di Daoud Khan.
In un’intervista su Le Monde ha dichiarato che la circolazione della sua foto e l’utilizzo che ne è stato fatto l’hanno molto infastidita. Perché?
Perché è stata strumentalizzata dal consigliere militare di Donald Trump nel 2017 per incoraggiarlo a far rimanere i soldati americani in Afghanistan. Quella foto è stata usata per far passare un messaggio di questo tipo: “Vedi, l’Afghanistan è stato occidentalizzato! Vale la pena di restare!”. Questo cosa mi ha indignato, gli americani si sono completamente sbagliati su questa fotografia. E per quanto mi riguarda l’atteggiamento americano nei confronti dell’Afghanistan mi ha lasciato profondamente perplessa.
Lei ha lavorato in Afghanistan come fotografa professionista tra il 1971 e il 1972. Qual era la situazione delle donne nel paese? C’era allora una reale apertura nei loro confronti?
Nel 1972, in questa monarchia il cui re era francofilo, era in corso una certa apertura nei loro confronti. Ho fotografato molte azioni di donne afghane a questo proposito e ho ritratto studentesse universitarie, parlamentari donne, dottoresse e infermiere. Ma ho anche documentato il divario tra la situazione delle donne nelle città e le donne nel mondo rurale, perché ho viaggiato molto in tutte le zone del Paese.
Nell’agosto 2021 le truppe statunitensi hanno lasciato definitivamente il Paese. Per molti, questo ha significato un’altra battuta d’arresto per le donne afghane. Come ha vissuto questo momento?
E’ stato un colpo terribile per me, così come tutto ciò che è accaduto in Afghanistan da quando sono partita. Essendo stata molto segnata dai due anni trascorsi nel Paese, ho sempre seguito gli avvenimenti riguardanti l’Afghanistan con grande interesse. Ciò che mi è rimasto da quel soggiorno è stato il desiderio di approfondire la mia conoscenza dell’Islam, della religione musulmana e di ciò che essa implica per le donne. E Il mio impegno nei loro confronti non si è mai fermato.
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