La storia

martedì 19 Settembre, 2023

Lavis, l’Alzheimer a 50 anni, la vita che cambia e la storia raccontata nel film di Ruffini. «La musica sostiene le nostre vite»

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La vicenda di una coppia nella nuova pellicola in uscita. Il marito: «Non servono più parole, comunichiamo con lo spirito. Resta di noi ciò che abbiamo amato e donato di noi stessi»

In occasione della giornata mondiale dell’Alzheimer, giovedì 21 settembre, alle 20.30 in auditorium a Lavis verrà proiettato «Perdutamente – Non si guarisce dall’Alzheimer. Non si guarisce dall’amore», di Paolo Ruffini (ingresso gratuito). Una pellicola in cui il regista e autore televisivo italiano attraversa la Penisola incontrando persone affette da Alzheimer e i loro familiari, raccontando le loro storie. Dall’Alzheimer non è possibile guarire, ma è possibile curare, se non la malattia, la persona, proprio con l’amore. È l’amore è il protagonista di questo film. L’amore della persona malata, che non sa più chi sei ma sa di amarti, e l’amore della persona che si prende cura del malato, che ama senza condizioni, senza risposte, nel modo più disperato in cui si possa amare: Perdutamente. La proiezione sarà introdotta da un videomessaggio di Ruffini, mentre durante il corso della serata interverrà Alessandra Lombardi, dirigente medico del centro per i disturbi cognitivi e demenze dell’Apss.

Proprio a Lavis fa tappa una delle meravigliose storie raccontate dal regista nel suo film: il suo viaggio l’ha portato infatti a entrare nella casa e nelle vite di due lavisani, marito e moglie che nove anni fa ha dovuto venire a patti con l’Alzheimer, scoprendo così nuovi modi di prendersi cura e di amare. Da poco passati i 50 anni lei si ammala e la sua vita, insieme a quella del marito, cambia completamente. «Il pensiero del tuo cervello che inizia a disgregarsi è tremendo, e, in un’età relativamente giovane, è dura da accettare – afferma il marito –. Ho scoperto del film attraverso mia cognata. Su Instagram Ruffini stava cercando storie sull’Alzheimer per fare un film, era l’aprile del 2021». Dall’inizio della malattia il marito tiene un diario, lo aggiorna periodicamente inserendovi pensieri ed emozioni suoi e della moglie, osservando il decorso della malattia, informandosi sulle possibili cure alternative. Così decide di mandare questo diario alla produzione e riceve una telefonata: l’interesse c’è ma il Trentino è una terra lontana, le altre storie presenti nel film sono ambientate anche nel Nord ma non così in su.

Alla fine, però, la produzione sbarca a Lavis la mattina del 4 agosto. «Abbiamo incontrato Ruffini solo quel giorno. Lui e la produzione sono stati a casa nostra per una mattina, il tempo di una bella chiacchierata: Ruffini era stato colpito dalla nostra storia legata soprattutto dalla Musica. Musica che fa da contorno e sostentamento alle nostre vite. Nel diario raccontavo infatti di come ci siamo conosciuti proprio per la musica». Nella malattia della moglie, la musica è poi diventata un mezzo per parlarsi: l’Alzheimer cancella a poco a poco ogni capacità d’espressione fatta di parole, ma suonando insieme, marito e moglie hanno trovato ugualmente un modo per comunicare. «Suonando insieme si creava una magia, un’alchimia speciale: a fronte di una mente che si disgrega, riuscivamo a connetterci ugualmente toccando le stesse vibrazioni in musica, pur non mettendoci d’accordo, come si vede nel film, andavamo d’accordo solamente attraverso i suoni, si creava un contatto che trascendeva la parola». L’idea è venuta da un’operatrice sociosanitaria, Letizia Espanoli. «Lei propone un approccio diverso rispetto alla malattia: ha coniato il termine “sentemente”, e cioè di una mente che sente . Anche se la nostra corteccia cerebrale si deteriora, la parte più antica del nostro cervello, quella delle emozioni, rimane attiva fino alla fine dei nostri giorni, anche se quelle emozioni non riusciamo più a esprimerle». A casa loro Espanoli nota il pianoforte e così propone alla coppia di improvvisare. «Noi che abbiamo fatto studi accademici vediamo l’improvvisazione come una cosa un po’ ostica – spiega il marito –perché ti senti impreparato, quasi paralizzato».

In quel momento, però, arriva un’intuizione importante: suonare non per arte, ma per generare un suono che cura e porta piacevolezza. Lei vive bene tutto questo, ritrova il piacere di suonare e la soddisfazione prende il posto della frustrazione e di tutte quelle emozioni negative che, deviate su una nuova prospettiva, si sono nuovamente trasformate in bellezza. «Sono stati anni durissimi e lo saranno sempre di più, questo però ci ha permesso di vivere pienamente il nostro matrimonio: in salute e in malattia, nella buona e nella cattiva sorte. Oggi abbiamo una profonda comunicazione di spirito, che va oltre alla parola. Questa fase delle nostre vite è dolorosa, pesante, emotivamente complicata, ma paradossalmente sta dando un senso alla nostra vita».

«C’è bisogno di sensibilizzare, bisogna abbattere i tabù: capisco chi nasconde la malattia, perché spaventa, vedere una persona che cambia quasi totalmente. Fare il cura cari significa fare anche cose sconvolgenti e passare momenti molto difficili». Il docufilm cerca invece di spostare lo sguardo sulla relazione positiva: si può ancora vivere e vivere bene nonostante la diagnosi. Nel film, marito e moglie suonano insieme in quella che è una delle ultime volte.
«Ruffini ha incentrato il nostro incontro sulla musica e sull’amore, sul fatto che resta di noi ciò che abbiamo amato e donato di noi stessi. Io e mia moglie in questa relazione abbiamo dovuto guardare al di là del dolore: in questo modo la nostra relazione si è cementificata ancor di più, portandola su un altro livello».