i dati
mercoledì 20 Settembre, 2023
di Margherita Montanari
Alla retorica politica che associa la presenza di migranti a un tema unicamente di costi, rispondono numeri che invece descrivono la ricchezza prodotta dai lavoratori in arrivo da altri Paesi e occupati in Trentino. Sono soprattutto operai, manodopera del settore agricolo, colf e badanti, impiegati, ma tra di loro c’è anche chi ha scelto di mettersi in proprio, aprendo un’attività autonoma. I lavoratori di origine non italiana in provincia sono 46.933 in tutto, 43.342 occupati nel settore privato. Vengono da Paesi dell’Unione Europea, ma soprattutto da Stati extra Ue. E sono contribuenti a tutti gli effetti di un sistema economico in cui producono un valore aggiunto quantificabile ben oltre 1,3 miliardi di euro, pari almeno al 6% del Pil provinciale. Un ingranaggio dell’economia locale che però scricchiola. Gli sconvolgimenti della pandemia, il cappio delle politiche di accoglienza (inclusa la gestione del Decreto Flussi) e una serie di altre dinamiche internazionali hanno portato a un calo dei lavoratori immigrati occupati nell’economia trentina. E ad un calo dei loro redditi, che porta il Trentino a perdere una quota di «ricchezza» prodotta.
Il quadro
La carenza di manodopera è una delle preoccupazioni più grandi delle imprese trentine. Gli ultimi dati Ispat-Agenzia del Lavoro mostrano un calo di circa 4.500 lavoratori stranieri nei primi tre mesi del 2023. Un valore più basso del 17,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Anche a guardare i dati dell’osservatorio sui lavoratori dipendenti dell’Inps – con i dati sui redditi da lavoro dipendente nel settore privato aggiornati al 2021 – dicono che la pandemia ha invertito una tendenza di crescita della quota di lavoratori stranieri.
Meno lavoratori immigrati
Nel 2017 c’erano in Trentino 36.336 lavoratori nati in un Paese diverso dall’Italia. Due anni dopo, nel 2019, questo numero risultava 44.073. Poi è arrivato il Covid. Molti lavoratori sono tornati nei Paesi di origine, perché neanche in provincia avevano un lavoro sicuro. E così la manodopera straniera è arrivata a contare su 39.341 persone. Nel 2021 (ultimo anno tracciato dall’Inps) il dato è tornato a salire e si è arrivati a 43.342.
Redditi da lavoro in calo
Anche il reddito medio dei dipendenti stranieri non ha fatto che peggiorare. Da 16.847 euro di cinque anni fa, a un reddito medio annuo di 15.851 del 2019 ai 12.300 nel 2021. Un calo del 22% in tre anni. Per fare alcuni lavori – come colf o badanti – si scende addirittura a 8.936 euro medi annui. Per lavorare in agricoltura (lavoro che dipende dalle richieste stagionali) 4.239 euro medi annui. Se calano i lavoratori stranieri è perché cala la domanda delle imprese, ma anche perché una fetta di questa manodopera non torna in Italia. E uno dei motivi è che le condizioni di chi viene in Trentino per lavorare non sono migliorate negli anni, almeno a leggere la dinamica dei redditi. Se i lavoratori dipendenti di origine straniera in Trentino dichiaravano un volume di oltre mezzo miliardo prima della pandemia (per la precisione 680 milioni di euro) oggi ne dichiarano 530 milioni di euro. Resta comunque una somma rilevante nel sistema trentino, prodotta dall’equivalente del 16% della forza lavoro dipendente del settore privato in provincia.
Il valore aggiunto
Senza contare che la ricchezza prodotta è molto più alta. Il valore aggiunto a cui corrisponde questa fetta della popolazione è quantificabile in circa 1,3 miliardi di euro (il 6,1% del Pil), tenendo conto unicamente dei lavoratori extra Ue, come stimato la Fondazione Leone Moressa nel rapporto annuale 2022 sull’economia dell’immigrazione. Significa che tenendo conto di tutta la forza lavoro composta da lavoratori di origine non italiana – e per alcuni settori, come l’agricoltura o il turismo, romeni e polacchi sono un cuore pulsante della manodopera – il valore supererebbe addirittura i 2 miliardi.