La storia

lunedì 25 Novembre, 2024

Le origini trentine e la vita in Toscana: storia di don Fiore e della famiglia Menguzzo, vittime dei nazisti a Stazzema

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Un «figlio del Tesino» a lungo dimenticato ha dovuto assistere all’esecuzione suoi cari

Per lungo tempo don Fiore Menguzzo è stato «un figlio dimenticato del Tesino». Poi il toscano Giuseppe Vezzoni, con Graziella Menato, ha scritto la sua storia nel libro «All’Alba di Sant’Anna» (ed. Il Margine TN 2014) che si è conclusa, con la sua tragica morte, giusto ottant’anni fa.
Suo padre Antonio Menguzzo è nato a Castello Tesino nel 1876. Il lavoro da contadino non è sufficiente. Come quasi tutti i suoi paesani, nella stagione invernale, si gira per l’Italia e per l’Europa come venditori ambulanti, specie di stampe religiose, o come artigiani. Antonio fa l’arrotino. Con suo fratello e la sua bici attrezzata con le mole di pietra, si trova bene in Toscana, nella zona di Pisa. Nel 1907 si sposa con la compaesana Amalia Menguzzato. L’anno dopo nasce Teresa.
Antonio decide di trasferirsi con la famiglia a Cascina (Pisa), dove aveva preso casa anche suo fratello Giovanni, sposato con la compaesana Domenica Menato. Da Castello Tesino un trasferimento a piedi e con mezzi di fortuna, lungo quasi 500 chilometri, durante il quale Antonio da bravo «moléta» affila ogni genere di lama e aggiusta ombrelli.
A Cascina nasce la seconda figlia Corinna, poi Archimede e il 16 maggio 1916 Fiore. A Pisa, dove Antonio aveva messo su un laboratorio, nascerà Maria Augusta.
Castello Tesino dalla Grande Guerra era uscita devastata. La casa di Antonio distrutta. Nel 1918, muore improvvisamente suo fratello Giovanni, forse di febbre spagnola. Così Antonio e Amalia decidono di risiedere definitivamente a Casciano e poi a Pisa.
Fiore, vuole studiare e fare il prete. La sua vocazione è autentica e profonda. Pochi giorni dopo la infausta dichiarazione di guerra di Mussolini, il 23 giugno 1940, Fiore è ordinato sacerdote e cappellano di San Rocco a Mulina di Stazzema.
Don Fiore Menguzzo ha un bel volto e un fisico prestante. «Fiorin Fiorello l’amore è bello vicino a te», «Quando dice messa sembra un angelo», scherzava qualche donna del paese. Don Fiore è un sacerdote aperto, socievole, con uno spirito cristiano evangelico che lo fa vivere fra i più bisognosi ed aiutare qualsiasi ne avesse avuto bisogno. Prima di dover partire alla volta dell’Albania come cappellano militare, la gente di Mulina di Stazzema gli ha regalato una croce d’oro con dedica.
L’ 8 settembre 1943, in Albania, anche don Fiore è fatto prigioniero dai tedeschi e deportato nei campi di lavoro in Germania. Forse per l’intervento del suo vescovo, sia pure in pessime condizioni, riesce a tornare a Stazzema nel maggio 1944. Kesserling sta attestando l’esercito tedesco sulla linea Gotica che, lungo l’Appennino tosco emiliano romagnolo, taglia l’Italia dal Mar Tirreno a quello Adriatico. Le potenti fortificazioni erano già predisposte da tempo. Ora è arrivato il momento di sbarrare la strada all’esercito alleato che avanza da sud. L’imperativo di Kesserling è rallentare l’occupazione del Nord Italia e proteggere i collegamenti vitali con la Germania attraverso il Brennero e Trieste. Per questo Kesserling, oltre a scontrarsi con gli Alleati, organizza una lotta feroce alle formazioni partigiane, senza alcuna pietà per le popolazioni. «Un calvario di sangue che si consumò lungo la Linea Gotica fino a Marzabotto», scrive Giuseppe Vezzoni.
Sant’ Anna di Stazzema è nell’occhio del ciclone. I tedeschi, affiancati dai fascisti repubblichini e della X Mas, compiono retate contro i partigiani e rappresaglie crudeli contro le popolazioni inermi. Domenica 2 luglio 1944, don Fiore celebra, con una solenne processione, la venerata Madonna della Misericordia, la cui immagine con il Bambino è custodita nella Chiesa di San Rocco. Si chiede la sua protezione.
Come gran parte dei parroci, don Fiore decide di stare con la sua gente. Si prodiga in ogni modo per accogliere gli sfollati che fuggono dalla Versilia continuamente bombardata e collabora con i partigiani. La sua canonica diventa un crocevia d’informazioni riguardo i movimenti e le improvvise retate dei nazifascisti, di smistamento di dispacci con la parola d’ordine «ho mezza lira» e di armi recuperate da un «lancio» degli Alleati. Un’attività pericolosa perché le spie fasciste sono in ogni luogo.
Stazzema si trova sempre più in mezzo agli attacchi partigiani da un lato e la reazione tedesca dall’altra: l’avamposto, di questi scontri è proprio la frazione di Mulina.
Alla fine di luglio, arriva l’ordine di sfollamento. Don Fiore, non lesina il suo aiuto anche alla cura dei soldati tedeschi rimasti feriti. Forse per questo ha il permesso di rimanere nella canonica di San Rocco. Con lui rimane la famiglia.
Il 1° agosto 1944, i tedeschi incendiano la Parrocchia della Pieve di Farnocchia e don Fiore la raggiunge per soccorrere i sopravvissuti. L’8 agosto arrivano i reparti della 16ma Divisione delle SS. Reichsführer. Sulla piazzetta di Mulina, sotto lo storico campanile del 1400 di San Rocco, con due colpi di pistola alla tempia sono ammazzati due civili presunti partigiani. Nella vicina Sassaia si fa strage di 38 civili. L’11 agosto don Fiore si oppone all’ordine germanico di lasciare la canonica.
Si arriva a sabato 12 agosto 1944. La notte indugia ancora nei boschi che sovrastano la frazione di Mulina. Il buio è squarciato dalle prime luci dell’alba. La musica dell’omonimo torrente è rotta dai sordi rumori dei cingolati tedeschi che circondano il paesino. Due autoblinde si piazzano davanti alla canonica di San Rocco. Si vuole punire il prete che aiuta i partigiani come monito a tutti paesani.
Secondo la versione più attendibile, don Fiore esce dalla canonica e si offre come vittima sacrificale. Per le SS non è sufficiente. Ordini secchi, implacabili. Don Fiore deve assistere impotente. Con i lanciafiamme si dà fuoco alla Canonica e a colpi di mitra sono trucidati tutti: il padre Antonio di 65 anni, la sorella Teresa di 36 anni, la cognata Claudina di 28 anni, le nipotine Colombina di 13 anni e la più piccola Elena di soli 18 mesi (la madre e gli altri famigliari erano fortunatamente in altro luogo). Distrutta anche la chiesa di San Rocco.
Il cuore di don Fiore è gonfio di dolore. Con i mitra alla schiena è spinto verso una mulattiera. Un calvario di 500 metri interminabili. Forse si aggrappa alla fede. Implora la misericordia della Madonna a lui tanto cara, chiede a Dio pace e giustizia. Pensa che fra un po’ raggiungerà i suoi cari in Paradiso. In un luogo appartato è crivellato alla schiena dai mitra delle SS.
Nelle stesse ore le SS, con l’ausilio dei militi fascisti raduna e stermina davanti alla parrocchiale la gente e gli sfollati di Sant’Anna di Stazzema: 560 morti civili fra cui 130 bambini. Poi, alla fine di settembre, a Marzabotto e paesi limitrofi, ci sarà il massacro di altri 1.830 civili.
Scene atroci che oggi sono ancora sotto i nostri occhi nella macellazione umana di Gaza, in Ucraina, nel Sudan … La Storia non ci ha proprio insegnato nulla?