L'intervista

domenica 28 Gennaio, 2024

Le sfide della sanità trentina. Tonina: «Ecco il piano per tagliare le liste di attesa»

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Il forum de il T con l'assessore provinciale alla salute. «Accordo con i medici di base per ridurre le visite. Rsa? Stop a nuovi posti letto. Punto nascita di Cavalese, numeri bassi»

Ottobre 2018. Il centrodestra ha appena vinto le elezioni provinciali. Il neo governatore leghista Maurizio Fugatti lo chiama nel suo ufficio. Gli chiede quale assessorato vorrebbe guidare. «Valuta tu». In un primo momento non esprime alcuna preferenza. Lo saluta ed esce dalla stanza. Ma un attimo dopo «ho riaperto la porta e gli ho detto: sono disposto a prendere la sanità». Quella delega, poi, è stata affidata a Stefania Segnana. «Questa volta, invece, l’ha data a me, ma non gliel’ho chiesta», racconta al forum de il T Mario Tonina (Patt), attuale assessore provinciale alla salute, alle politiche sociali e alla cooperazione. La prima sfida che ora vuole affrontare è quella delle liste di attesa. «Stiamo definendo un accordo con i medici di medicina generale (ex medici di famiglia) per liberarli dal carico burocratico. In questo modo — spiega — contiamo di ridurre le visite da erogare perché i medici di medicina generale avranno più tempo a disposizione per l’assistenza». Si è dato un imperativo categorico, non solo per questa sfida: «Possiamo e dobbiamo distinguerci. Se non riusciamo a distinguerci con la nostra autonomia abbiamo fallito».
Quali misure saranno messe in campo per ridurre i tempi di attesa per le visite specialistiche?
«Le liste d’attesa e i pronto soccorso sono stati i primi due temi che ho posto all’attenzione del direttore generale dell’Azienda sanitaria, Antonio Ferro, e del dirigente generale del Dipartimento salute, Giancarlo Ruscitti. Ho chiesto suggerimenti, poi sarò io a prendere le decisioni. Per quanto riguarda le liste di attesa, stiamo pagando il prezzo della pandemia perché molte visite sono finite in coda. E va detto che il Covid ha cambiato lo stile di vita di tutti noi. Oggi c’è un’attenzione più alta nei confronti della propria salute e di conseguenza la richiesta di prestazioni è aumentata. I medici di medicina generale si vedono arrivare pazienti che chiedono a priori di fare una radiografia. Quindi, se da un lato è vero che dobbiamo trovare una risposta alle lunghe liste d’attesa, dall’altro deve esserci anche una maggiore consapevolezza dell’appropriatezza delle cure, perché non tutte le visite sono necessarie».
Quale risposta può dare la politica?
«In queste settimane ho incontrato i rappresentanti delle tre sigle dei medici di medicina generale, Smi, Fimmg e Snami. Mi hanno detto che potrebbero risolvere molti casi, riducendo così la pressione sulle liste di attesa. Però bisogna sollevarli dal carico burocratico: l’idea è quella di dirottarlo su altro personale. Nelle prossime settimane conto di prendere i primi provvedimenti. L’obiettivo è superare questa fase di emergenza e tornare alla normalità, anche per riportare il lavoro dei professionisti su ritmi ordinari».
Qual è il problema nei pronto soccorso e come pensate di risolverlo?
«Nei pronto soccorso si riscontra lo stesso problema dell’appropriatezza. Ci sono persone che si fanno portare in ambulanza per il mal di denti o per l’influenza. Oggi i codici bianchi e verde rappresentano i due terzi degli accessi. E la maggior parte degli accessi sono concentrati in determinate ore della giornata. O in determinati giorni: quando c’è il mercato a Trento, il giovedì, si registra il picco di accessi. Ecco questa situazione non è più sostenibile. Anche in questo caso il problema si può risolvere attraverso una maggiore collaborazione con i medici di medicina generale. Allo stesso tempo deve esserci una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini: si va al pronto soccorso solo quando c’è un reale bisogno».
Spesso, però, i medici di medicina generale sono oberati di lavoro perché hanno molte persone da seguire. Rivedrete il tetto degli assistiti (1.500)?
«Se riuscissimo a disporre di un maggior numero di medici di medicina generale si potrebbe pensare di ridurlo».
Quale deve essere il rapporto tra la sanità pubblica e quella privata?
«La sanità è pubblica e deve rimanere pubblica. Però in Trentino, oltre ad avere eccellenze nel pubblico, abbiamo la fortuna di avere eccellenze anche nel privato, che ci garantiscono la mobilità attiva. Per questo motivo deve esserci una giusta collaborazione tra pubblico e privato».
Nei prossimi anni il progressivo invecchiamento della popolazione metterà sotto pressione la sanità e i conti pubblici. La Provincia come si sta preparando?
«Bisogna aumentare l’investimento sulla prevenzione, lavorando di più anche nelle scuole. Ne sto già parlando con la collega Gerosa (assessora all’istruzione, ndr). La scuola sta già svolgendo un ruolo importante, ma si può fare di più. È un investimento che andrà a beneficio di tutto il sistema perché riusciremo a ridurre certe malattie».
Intanto ci sono centinaia di persone nelle liste di attesa delle case di riposo. Si realizzeranno nuove strutture?
«Con Upipa, ma anche con Spes, ci siamo impegnati a definire una strategia per i prossimi vent’anni. Oggi ci sono 1.600 persone che non possono entrare in casa di riposo, e in Trentino-Alto Adige il numero di posti è il più alto in Italia, in rapporto alla popolazione. La soluzione non è creare nuove case di riposo. Tra l’altro queste strutture hanno un costo non indifferente: tra retta sanitaria e retta alberghiera si arriva a 4.500 euro al mese per ospite. Dobbiamo invece mantenere il più possibile le persone a casa. Alcuni servizi sono stati già introdotti, come Spazio Argento, ma dobbiamo fare di più. È necessario garantire servizi territoriali soddisfacenti e iniziative che promuovano la socialità. Se ci sono esperienze all’estero che possiamo copiare, facciamolo. Mi hanno parlato di esperienze interessanti in Scozia e Danimarca».
Di cosa si tratta?
«In Danimarca hanno costituito dei centri dove le persone hanno a disposizione mini appartamenti e sono seguite dal personale. Non sono case di riposo. Sono forme abitative di cohousing, pensate per quelle persone che, una volta raggiunta una certa età, hanno bisogno di compagnia».
A Romeno, in Val di Non, si spinge per la realizzazione di una casa di riposo. Si può pensare di replicare il modello danese?
«Realizzare una casa di riposo è difficile. A Romeno c’è già una struttura a disposizione: potremmo sperimentare formule innovative».
Negli ospedali, così come nelle case di riposo, la carenza di personale rappresenta una delle principali criticità. Quali possono essere le politiche di attrattività?
«Secondo me non è tanto una questione economica, ma è una questione di riconoscenza. Chi sceglie di fare il medico o l’infermiere è convinto di questa scelta e quasi nessuno si tira indietro perché è un lavoro mosso dalla passione. Se vogliamo che queste professioni continuino ad essere scelte dobbiamo orientare i giovani. Uno dei miei primi provvedimenti è stato quello di aumentare i fondi per l’orientamento nelle scuole perché dobbiamo valorizzare queste professioni. Uno dei tasselli chiave per attrarre personale è poi il protocollo che a breve il presidente Fugatti firmerà con il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian, per la creazione di un’azienda sanitaria integrata. In questo modo gli ospedali di valle saranno maggiormente qualificati e ci sarà un maggiore scambio l’ospedale di Trento. In tutti gli ospedali di valle dovranno esserci specializzazioni e reparti competitivi, in primis pronto soccorso ed ortopedia. Non possiamo pensare di risolvere i problemi con i gettonisti. Oggi non ne possiamo fare a meno perché certi servizi, come i punti nascita di Cles e Cavalese, dovrebbero chiudere senza di loro, ma in futuro il Trentino dovrà distinguersi. Da questo punto di vista la Scuola di Medicina rappresenta un polmone».
Non ci sono spazi per lavorare insieme a Bolzano per una sola Scuola di Medicina?
«Ci sono spazi. Non appena sarà possibile ne parlerò con il nuovo assessore altoatesino alla salute Hubert Messner. Sarebbe nell’interesse di entrambe le province avere una sola Scuola di Medicina».
Il Santa Chiara di Trento è una struttura fatiscente. L’obiettivo è realizzare il nuovo Polo sanitario e ospedaliero entro il 2030: è ottimista?
«Sono fiducioso. A breve avremo un incontro con il commissario Tita, che in questo momento sta valutando le offerte per il progetto di fattibilità tecnico-economica».
Qual è il piano per protonterapia?
«Protonterapia ha tutte le potenzialità per fare numeri maggiori. Oggi arriviamo alla metà dei numeri che erano stati prefissati a suo tempo. In questo momento abbiamo chiesto al nuovo primario, Frank Reinhard Heinrich Lohr, di realizzare un piano per potenziare l’attività».
Punto nascita di Cavalese. Il governatore Fugatti si è mostrato più deciso nel voler mantenere aperto il servizio, mentre lei ha lasciato la questione aperta. Ne avete parlato?
«Non ne abbiamo parlato. Io ho detto che farò delle verifiche, e queste verifiche le farò in primis con i territori per capire se, dopo la riapertura del punto nascita, c’è ancora questa convinzione. La politica ha fatto questo sforzo per garantire un servizio, ma circa il 40% delle donne va a partorire a Trento, a Rovereto o a Bolzano. Dopodiché il servizio deve essere garantito in sicurezza, e finora è sempre stato garantito in sicurezza. Dobbiamo capire fino a quando possiamo pensare di tenere aperti i due punti nascita di Cles e Cavalese con questi numeri: l’anno scorso si sono registrati circa 380 nuovi nati nei due ospedali. Di fronte a questi numeri qualche domanda bisogna porsela, ma in questo momento non ho pressioni né per tenerli aperti né per chiuderli. Al momento non è una materia di priorità. Quando mi sarò confrontato con i territori ne parlerò in giunta. Quando ero consigliere provinciale avevamo dato la disponibilità a chiudere il punto nascita di Tione perché la scelta delle donne era di partorire altrove. Però allora lo avevo condiviso con la comunità e con i sindaci in cambio di un protocollo che potesse garantire determinati servizi: ortopedia, medicina, pronto soccorso».