L'intervista
domenica 1 Ottobre, 2023
di Margherita Montanari
A Trento parlerà delle grandi sfide che interessano i territori. La fase di incertezze e cambiamenti in corso, ne è certo Arrigo Sadun, ci porterà a convivere «con una situazione macro-economica molto meno favorevole degli ultimi 20 anni» nei prossimi anni. Se oggi assistiamo ai balzi dell’inflazione, tra un decennio avremo pensieri ancora più grandi secondo l’ex direttore generale del Fondo monetario internazionale. «È possibile che il tasso di crescita dell’economia globale si riduca di circa un terzo nel prossimo decennio».
In questa fase, come possono i territori mantenere l’equilibrio socioeconomico nonostante l’incertezza diffusa, determinata sempre più spesso da fattori di contesto internazionali?
«Viviamo in un momento di grande incertezza ed assistiamo a profondi mutamenti che stanno sconvolgendo il tradizionale ordine economico internazionale e gli equilibri geo-politici emersi dalla fine della Guerra Fredda. Non è ancora chiaro quale sarà l’architettura del nuovo sistema. In questo quadro, è difficile anticipare le condizioni macro-economiche e geo-politiche che condizioneranno il nostro futuro. È però certo che nei prossimi anni dovremmo imparare a convivere con una situazione macro-economica molto meno favorevole degli ultimi 20 anni».
Che cosa intende?
«A parte le prospettive immediate della congiuntura – abbastanza deludenti – è probabile che il tasso di crescita dell’economia globale si riduca sensibilmente nel prossimo decennio, riducendosi di circa un terzo. Nel contempo, l’inflazione a livello globale rimarrà notevolmente più elevata di quanto registrato nel passato. Le condizioni monetarie saranno notevolmente meno permissive di quanto avvenuto dalla crisi del 2008. La opportunità offerte dalla crescita della Cina degli ultimi decenni verranno notevolmente ridimensionate».
Tendenze sfavorevoli per il Paese e per le aziende. In Trentino, quasi il 90% delle realtà che compongono il tessuto economico, sono piccole imprese. Come possono rimanere competitive in questo scenario ?
«Le tendenze sfavorevoli non possono essere affrontate con una strategia puramente difensiva, di isolamento. Al contrario è necessario aumentare l’apertura internazionale delle nostre aziende con un salto strategico. Cioè abbandonando il ruolo di semplici esportatori per inserirsi come produttori nei mercati esteri. Per le Pmi è ancora più essenziale rigettare l’isolamento. L’evoluzione delle tecnologie e l’esperienza empirica indica chiaramente che molti ostacoli posti dalle piccole dimensioni aziendale sono superabili e ciò che conta veramente è l’innovazione, la creazione di valore aggiunto. Il marchio italiano più conosciuto al mondo e’ la Ferrari; una casa automobilistica che fabbrica poche migliaia di vetture all’anno rispetto ai milioni prodotti delle principali aziende multinazionali».
Quali sono, secondo lei, gli episodi economici dell’ultimo anno da tenere d’occhio? La situazione di oggi è più o meno incerta rispetto alle crisi degli ultimi 20 anni?
«Il fenomeno che più condiziona la congiuntura internazionale è il ritorno dell’inflazione a tassi sconosciuti da oltre 40 anni. La progressiva disgregazione del commercio internazionale è un altro fenomeno di grande rilevanza per un’economia aperta come quella italiana. Negli ultimi tempi all’introduzione di tariffe doganali si sono aggiunte restrizioni amministrative invocate a vario titolo; sanzioni economiche, motivi di sicurezza nazionale e puro e semplice protezionismo. Anche i nuovi equilibri geo-politici sono fenomeni di grande rilievo che avranno effetti duraturi nel tempo. La fase di rapida crescita dell’economia cinese sembra essersi esaurita e ciò avrà effetti molto rilevanti sulle economie degli altri Paesi asiatici e di altri, come la Germania».
Al momento una delle preoccupazioni maggiori di cittadini e imprese sono gli elevati tassi d’interesse. Quanto a lungo può andare avanti la stretta monetaria della Bce?
«I tassi non potranno normalizzarsi finché l’inflazione non sarà riportata sotto controllo, un traguardo che non appare imminente né in Europa né negli Usa. Quindi temo che la stretta monetaria durerà ancora per gran parte del prossimo anno, a meno che non sia necessario intervenire la traiettoria d’urgenza per contrastare gli effetti di una severa recessione o per stabilizzare una nuova ondata di turbolenze sui mercati finanziari; scenari non molto probabili».
La Germania è già in recessione e l’economia Trentina comincia a soffrire a causa di questo rallentamento. La recessione arriverà anche qui?
«Gli effetti della recessione in Germania ed in altri partner commerciali si vedranno anche da noi. Le più recenti stime per la crescita 2023 e le previsioni per il 2024 sono state sensibilmente ridimensionate. Temo che le proiezioni di una modesta crescita si basino essenzialmente sugli effetti residuali delle misure di stimolo fiscale adottate nel quadro del Pnrr, piuttosto che per effetto di una vitalità spontanea della nostra economia. Comunque il margine tra recessione e semi-stagnazione è molto ridotto».
Quale giudizio dà alle politiche economiche e alla riforma finanziaria portata avanti dal governo Meloni?
«Generazioni di economisti del Fmi e di altri organismi internazionali si sono applicati ad analizzare la necessità di drastiche riforme strutturali per far ripartire l’ economia italiana dopo decenni di semi-stagnazione. Gli sforzi degli esecutivi sono stati modesti. L’esperienza empirica dimostra che le riforme strutturali necessitano di periodi lunghi (diversi anni) e devono essere introdotte simultaneamente per ripartire i sacrifici-benefici in maniera politicamente e socialmente accettabile. In Germania sono stati necessari quasi 10 anni per effettuare una la riforma del mercato del lavoro. La vita politica italiana rende difficile perseguire politiche di ampio respiro. Credo che il governo Meloni stia cercando di fare quanto realisticamente possibile tenendo conto delle limitazioni della politiche e delle ristrettezze finanziarie».
I nodi aperti, per il futuro del nostro Paese, sono diversi: dalla crisi demografica alla tenuta del sistema previdenziale. Quale dovrebbe essere, secondo lei, una priorità dell’Italia?
«La lista delle priorità è molto ampia perché comprende anche riforme strutturali quali l’istruzione, il funzionamento della Pa, quella del fisco. Come dicevo prima un certo numero di riforme devono essere introdotte simultaneamente per poter essere socialmente accettabili. Fare l’Italia storicamente non è stato un compito facile, né rapido. Rifare l’Italia, cioè adattare le strutture socio-economiche del Paese agli standard degli altri paesi avanzati è altrettanto difficile. Eppure senza queste riforme l’Italia non sarà mai in grado di colmare il divario che ci separa dalla maggioranza degli altri paesi dell’ Ue».
La riforma del sistema bancario, a livello europeo, ha creato un forte impatto sui piccoli istituti di credito, che rischiano di soccombere in assenza di una differenziazione delle regole in modo proporzionale alla loro dimensione, che rivendicano. Dobbiamo aspettarci dall’Europa un contesto con sempre meno spazio?
«In tutti i paesi il settore bancario nel suo insieme è alle prese con profonde trasformazioni strutturali dettate dalle nuove tecnologie e dalle nuove esigenze dei clienti. La rete capillare degli sportelli bancari sta sparendo. Funzioni quali pagamenti, erogazione del credito e la gestione del risparmio sono ormai automatizzate. La regolamentazione diventa sempre più onerosa soprattutto per i piccoli istituti territoriali che non possono beneficiare di economie di scala, oppure compensare attività poco remunerative con altre a maggior valore aggiunto».
Secondo lei quale può essere il futuro di queste piccole banche?
«Anche qui non ci sono ricette miracolose. Il buon senso, una notevole dose di realismo ed un’accurata comprensione delle esigenze locali sono gli ingredienti essenziali per avere successo».
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