L'intervista
domenica 6 Aprile, 2025
L’esperta di emergenza abitativa a Trento: «Il ceto medio non riesce più a permettersi una casa. Tempo di ripensare il modello basato sulla proprietà»
di Simone Casciano
Sara Gainsforth, l'autrice di «Abitare stanca»: «Gli Airbnb hanno ristretto il mercato. Si è arrivati al punto di mettere gli affitti all'asta»

«Ormai anche i medici fanno fatica a trovare una casa», racconta un’infermiera in pensione di Brescia nella pagine di «L’Italia senza casa» il nuovo libro di Sarah Gainsforth. La ricercatrice, che per prima ha messo a fuoco l’emergenza casa in Italia con il suo libro «Abitare stanca» è intervenuta a Trento sabato 6 aprile, ai giardini Duca D’Aosta, per dialogare sul tema con il consigliere provinciale del Partito Democratico Paolo Zanella e con i consiglieri comunali dem che in questi anni si sono occupati del tema. Che in Trentino il tema della casa sia emergenziale è stato documentato più volte sulle pagine del «T». Nel suo libro Gainsforth racconta come l’emergenza si stia declinando in tutta Italia. «Ho visto delle case in affitto messe all’asta – racconta la ricercatrice – Vinceva chi era disposto a pagare il canone più alto. L’attuale sistema basato sulla proprietà non funziona più dobbiamo cambiare».
Gainsforth, com’è cambiato il tema casa in questi ultimi anni?
«La grande novità credo sia stata la presa di coscienza dei ceti medi rispetto al problema. Già prima ne erano investiti, ma ora il fenomeno è completamente emerso. Francamente mi ha stupita, credevo che l’eredità avrebbe permesso di mantenere un po’ di benessere, che il problema si sarebbe manifestato tra una generazione e invece è già qui. Viviamo in un paese in cui crescono le rendite e diminuiscono i salari e in questo contesto i guadagni che si possono ottenere da una proprietà pesano di più. Con il calo dei salari in tanti hanno pensato che una casa di proprietà potesse essere un salvagente, ma questo modello non funziona più. Purtroppo era chiaro che la continua mancanza di politiche per la casa avrebbe generato un aumento delle disuguaglianze, la concentrazione dei patrimoni nella mani di pochi e l’impoverimento di molti. Il periodo post pandemia ha accelerato la crisi, c’è stato un picco di compravendite che ha fatto schizzare i prezzi degli acquisti e moltre famiglie si sono riversate allora su un mercato degli affitti, che però non esisteva più. Sono stati gli studenti a lanciare la protesta, ma ora il malumore e il disagio ha investito anche il ceto medio. Ci troviamo in una situazione per cui è impossibile lavorare se non si ha già una casa in queste città diventate inavvicinabili, quindi la carenza di lavoro è legata a doppio filo alla questione abitativa».
Sugli affitti quanto pesa il fenomeno degli airbnb?
«È una questione fondamentale, ma che arriva alla fine di un più lungo processo di restringimento del mercato dell’affitto. È stato il colpo di grazia, ma l’offerta era già in calo. Anche perché il pubblico da troppo tempo porta avanti piani di alienazione, di vendita delle case popolari. Se il pubblico scompare, il privato da solo non può dare risposta alla domanda di affitto che c’è. Tradizionalmente in Italia c’era poco affitto, arrivati i portali per l’affitto turistico, gli appartamenti sono stati dirottati lì e ora non ci sono case per lavoratori, famiglie e studenti. Un fenomeno che sta trasformando le nostre città. Vanno aggiornate le leggi sull’abitare e limitato l’affitto turistico breve, qualcosa a Bologna e in Toscana si sta muovendo».
Com’è la situazione nel mercato dell’acquisto?
«Partiamo da un fatto che reso chiaro: l’alto tasso di proprietari di casa in Italia è stato raggiunto grazie a politiche pubbliche. Oggi ce lo siamo dimenticati ma, negli anni, attraverso edilizia convenzionata, sovvenzionata, con agevolazioni ai mutui, è stata agevolata la proprietà, in un periodo in cui tra l’altro non c’era l’attuale divario tra salari e costo della casa. Oggi le condizioni sono cambiate completamente. Non ci sono quasi più politiche pubbliche sull’acquisto, i divari sono estremi e il tasso di proprietari torna a calare. In sintesi tutte le forme tradizionali di accesso alla casa, acquisto e affitto, non funzionano più».
Quindi che si può fare?
«Nel libro scrivo che dobbiamo dire basta alla proprietà, è un modello vecchio. Abbiamo bisogno di nuove strategie, più affitto protetto garantito dal pubblico, attraverso cooperative, a prezzi accessibili. Le politiche che hanno promosso la proprietà oggi producono i loro frutti amari, meccanismi auto rinforzanti per cui chi è diventato proprietario in passato oggi è molto avvantaggiato rispetto ai nuovi lavoratori. In questo contesto la casa diventa un privilegio. Bisogna capire che non si risolve un problema sociale con politiche immobiliari. Incentivi, bonus alla ristrutturazione, sono politiche regressive che privilegiano chi la proprietà ce l’ha già. Creano debito pubblico e vanno a vantaggio dei benestanti. Anche la proposta della Provincia di Trento per i 33 comuni spopolati non ha senso, se vuoi ripopolare un paese devi offrire servizi e case pubbliche, invece di incentivare l’acquisto con il rischio che diventi solo una nuova fonte di rendita. È un fallimento come la politica in Italia sta affrontando la questione».
A che modelli possiamo guardare?
«Penso a quello che si sta facendo a Barcellona, dove sono partiti da due principi: lo stop alla svendita del patrimonio immobiliare pubblico e l’interruzione degli incentivi all’acquisto, favorendo invece l’affitto. Possiamo anche guardare al modello Amsterdam e al social housing a patto di essere chiari. Le case messe a canone agevolato devono rimanere in affitto, non può diventare un acquisto mascherato. E poi l’affidamento va lasciato in capo al pubblico altrimenti capitano casi fallimentari come successo a Milano, dove non c’era un controllo dei prezzi, o a Roma, dove le case venivano date ad amici e parenti».
Finora però l’unica risposta del governo è stata rendere abitabili cantine e sgabuzzini?
«Sì, sembra di tornare indietro, alle baracche del secondo dopoguerra. Serve una grande discussione culturale sulla casa in questo paese. Il tema non è solo l’emergenza, chi è sotto sfratto o non ha un alloggio, ma anche la vivibilità delle nostre città. Dobbiamo guardare a quello che sta succedendo con il «Salva Casa» di Salvini o la «Salva Milano», leggi che abbassano gli standard qualitativi delle case, affidando ai privati la rigenerazione urbana. Ma il privato guarda al profitto, che significa il maggior numero di appartamenti nel minore spazio possibile, significa costruire «condomini-comunità» con alti cancelli che li separano dal resto della città. È questo che vogliamo?»
E intanto sul mercato le famiglie devono competere con il «turismo dell’acquisto».
«Un po’ è vero, stiamo diventando una colonia. Ma del resto il governo ha ospitato il G7 in un finto borgo-resort turistico creto appositamente. Questa è l’idea di Italia che hanno, un enorme resort turistico. E il mercato immobiliare viene trainato da questa proposta di super lusso. Ma attraendo questa clientela ricca dall’estero, anche grazia a flat tax e incentivi fiscali, si gentrificano le città e si escludono i residenti».