L'intervista
domenica 2 Giugno, 2024
di Margherita Montanari
Ci sono imprese che «vanno nella direzione di crescita e investimento sulle persone» e altre che, «in modo più difensivo e reattivo, cercano di continuare a dimagrire, riducendo il dimensionamento organizzativo». Guardando nella galassia del mondo cooperativo trentino si trovano entrambe le fattispecie. Ma è per le seconde, meno attrattive, che il problema del disallineamento crescente tra domanda e offerta di lavoro si fa più pressante. Per Luca Solari, tra i massimi esperti dell’evoluzione delle imprese e dei modelli organizzativi, la sfida «si affronta abbandonando i modelli di comando e controllo per sceglierne altri più attrattivi per persone giovani». Trentino di origini, Solari vive a Milano, dove è professore di organizzazione aziendale presso Università statale. Sarà a San Michele all’Adige martedì 4 giugno, presso le cantine Mezzocorona, per intervenire nel corso del convegno «Lavoro e motivazioni», organizzato da Consolida (ore 17).
Professor Solari qual è il fattore che incide maggiormente sul disallineamento crescente tra offerta e domanda di lavoro?
«Ritengo che il disallineamento sia legato a due fattori principalmente: uno riguarda le persone e l’altro la domanda di lavoro. Assistiamo a un cambiamento della modalità con cui le persone si avvicinano al lavoro, definiscono le proprie aspettative e il proprio progetto di vita. Al tempo stesso, esiste una disponibilità importante di risorse di tipo patrimoniali nelle famiglie, soprattutto immobiliari, che abbassano di molto la pressione sulla generazione di reddito. In sintesi, finché non smettiamo di favorire le proprietà patrimoniali a discapito del reddito, sarà difficile che il disallineamento cambi».
Il secondo fattore?
«Il secondo fattore è la produttività bassa delle imprese. In Italia non c’è capacità di investimento e innovazione, condizione a cui corrispondono salari bassi. Questo determina la scarsa capacità di attrazione di capitale umano delle imprese. I due fattori citati si legano. Nel nostro Paese abbiamo imprese medio piccole e a gestione familiare il cui valore generato non viene investito sull’incremento della produttività. Il risultato è che spesso abbiamo imprenditori ricchi e imprese povere».
L’attrattività del territorio incide sul disallineamento?
«Dipende dal tipo di professionalità. Un territorio non ben collegato con il resto del Paese e che vive, dal punto di vista politico ed economico, come un mondo a parte, non rende facile l’attrazione di profili medio-elevati. Non penso però che sia un problema per l’insieme della forza lavoro».
Le organizzazioni aziendali stanno cambiando?
«Riscontriamo due tendenze. Da un lato le imprese che si muovono verso modelli sempre più autonomi, con forti livelli di coinvolgimento e incremento della produttività da lavoro a partire dalla valorizzazione dei dipendenti. Dall’altro una reazione contraria, verso modelli sempre più poveri in termini di autonomia, che cercano o sperano di utilizzare le tecnologie, come l’AI, per ridurre l’impatto del costo del lavoro».
Quale modello è più diffuso in Trentino e nella cooperazione?
«Nella cooperazione trentina coesistono questi due modelli. Ci sono imprese che vanno nella direzione di crescita e investimento sulle persone; e altre che, in modo più difensivo e reattivo, cercano di continuare a dimagrire, riducendo il dimensionamento organizzativo. Ho l’impressione che per queste seconde sia più difficile capire che dovrebbero intraprendere una strada diversa».
Perché?
«Perché il Trentino, negli anni, è stato fortemente beneficiato sia dalla spesa pubblica, sia dalla presenza di valori culturali e relazionali di tipo solidaristico, che hanno schermato la Provincia dalle pressioni competitive nazionali e internazionali. Ma ora è tempo di risvegliarsi. Restano valori importanti, ma non possono più schermare il territorio dalle problematiche globali. Non capirlo, significa attardare il passaggio di consapevolezza e il cambio di approccio».
In che modo il pubblico può accelerare questo passaggio?
«A mio avviso serve una doppia manovra. Da un lato, attuare politiche per incentivare le imprese che sposano la trasformazione dei modelli operativi e di business, gli investimenti e l’adozione di tecnologie (inclusi welfare, attenzione alle ricadute sociali e alla sostenibilità). Dall’altro togliere dagli incentivi le imprese che non destinano una parte del risultato prodotto a fare innovazione. La chiamo “clausola innovativa”, simile alla clausola sociale negli appalti».