Ciclismo

lunedì 7 Aprile, 2025

Letizia Borghesi: «Il ciclismo femminile è in crescita, ma in Italia siamo indietro»

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La nonesa, ottima sesta ieri al Giro delle Fiandre, non nasconde alcune contraddizioni del mondo dello sport

«Sono salita in sella a 12 anni, perché volevo provare a fare quel che vedevo nei video di quando correva papà. E con la bicicletta è stato subito un colpo di fulmine». Lei è Letizia Borghesi, e il padre è Giuseppe, scalatore (nel palmares pure una Trento-Bondone) fermatosi per motivi fisici alle porte del professionismo. La madre è invece Lara Torresani, sportiva a tutto tondo tra atletica (il primo sport di Letizia) e ciclismo. A completare la famiglia c’è la sorella Giada, classe 2002, ciclista tanto per cambiare. Ieri, Letizia ha confermato il suo ottimo stato di forma, piazzandosi sesta (prima delle italiane) al Giro delle Fiandre, una delle corse più importanti e seguite del mondo.
Letizia, com’è proseguita la sua carriera dopo il «colpo di fulmine»?
«Ho vestito la maglia dell’Uc Rallo fino alle allieve, poi sono passata al Team Lapierre, formazione che mi consentiva di praticare anche ciclocross e mountain bike. Però nelle corse su strada ero sola in squadra…».
Rifarebbe tutto?
«Certo, anzi a strada, mountain bike e ciclocross aggiungerei la pista. Ogni specialità è importante anche per la strada, quindi sono contentissima della formazione che ho avuto. Tanto che continuo a praticare ciclocross: la mia squadra (la statunitense Ef Education-Oatly, ndr) non lo ha in calendario, così sostengo l’attività a mie spese, perché mi è utile anche su strada sia a livello fisico, penso ad esempio ai cambi di ritmo, sia a livello tecnico, perché si affinano le abilità poi utili nel muoversi in gruppo».
Torniamo al racconto della sua carriera.
«Arrivata alla categoria élite, per cinque anni sono stata in team italiani, Servetto, BePink e Vaiano, con i quali ho sempre affrontato calendari di spessore, prendendo parte, tra le altre, alle classiche del Nord e al Giro d’Italia».
A proposito di Giro. Sono passati quasi 6 anni da quella vittoria a Carate Brianza…
«Negli anni non sono mancate le gioie, ma quella resta sicuramente la giornata più bella della mia carriera, anche perché ci tenevo a riscattarmi dopo un 2018 amaro. Poi sono arrivati il Covid e qualche altro problema. Ora è il momento di rivivere certe emozioni».
Quale il prossimo obiettivo?
«Punto a piazzarmi bene alla Roubaix. Nel 2024 ho chiuso 13ª nonostante un problema a inizio gara che mi ha costretto a inseguire tutto il giorno. Sabato con un po’ di buona sorte potrebbe andare diversamente, anche perché sto avendo una certa costanza (prima della top-10 al Fiandre, Letizia si è piazzata 18ª alle Strade Bianche, 22ª alla Sanremo, 28ª alla Gand, ndr).
In questi anni com’è cambiato il mondo del pedale femminile?
«Io penso di aver vissuto un po’ tutte le tappe del ciclismo femminile. Se penso al mio primo Fiandre, era il 2017, tutto era completamente diverso sia a livello tecnico che organizzativo. In quei tempi c’erano 2-3 squadre attrezzate e il divario con gli altri team era immenso. La visibilità era quasi a zero, così come i premi gara e gli stipendi: penso che una ventina di atlete potesse permettersi di vivere di ciclismo. La situazione è poi migliorata, ma non ovunque: al Nord i montepremi delle nostre corse sono ora identici a quelli delle gare maschili, alla Strade Bianche o alla Sanremo invece chi vince riceve un premio che è intorno al 10% di quello del primo della gara maschile. In Italia, insomma, siamo in ritardo».
Quali le sensazioni nel correre con una sorella in gruppo?
«È bellissimo condividere tanti momenti, a Gand durante la presentazione hanno mostrato sul maxischermo, davanti a migliaia di persone, la nostra foto da bambine, che emozione! Poi in gara quando ci sono delle cadute si ha sempre un po’ di paura e si spera che non sia coinvolta Giada. Spesso ci alleniamo insieme, motivandoci a vicenda nello spingerci verso i nostri limiti».
E se Giada, che corre con un altro team (la Human Powered Health), partisse all’attacco e le ordinassero di andare al suo inseguimento?
«Sarebbe dura! Meglio fare in modo di trovarsi entrambe in fuga…».
Alle giovani che consiglio dà?
«Innanzitutto di non sforzarsi per bruciare le tappe, ma lasciare che il fisico si sviluppi. Questo non significa fare le cose senza serietà, ma non bisogna esasperare la situazione per raggiungere risultati che poi non durano nel tempo, è meglio costruire basi solide e poi migliorarsi anno dopo anno. Poi nel femminile è tutto più difficile, perché già da esordienti si affrontano spesso lunghe trasferte: servono sacrifici e organizzazione, però con la motivazione si riesce a fare tutto, nello sport e nella scuola».