Il libro

sabato 21 Dicembre, 2024

Letture, il libro sportivo del 2024 racconta Gigi Riva e le epiche gesta di «Rombo di tuono»

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«Vertical» di Paolo Piras dipana con stupore il filo della romanzesca avventura del più grande calciatore italiano del dopoguerra

Gianni Brera lo chiamò dapprima Brenno, poi Rombo di Tuono, mentre Gianni Mura scelse per lui Hombre Vertical. Gigi Riva da Leggiuno, Lago Maggiore (vi era nato il 7 novembre 1944) se ne è andato il 22 gennaio di quest’anno che se ne sta andando. È morto a Cagliari scegliendo di non farsi operare al cuore come i medici gli chiedevano insistenti dopo l’infarto che lo aveva colto in casa, alle tre del mattino. Rifiutando ogni accanimento terapeutico accetta che il suo cuore si fermi alle 17.50 del giorno dopo. Per un’ora e venti minuti tentano di rianimarlo. Alle 19.10 è dichiarata la sua morte.
È stato il più grande calciatore italiano del dopoguerra. Tuttora, con 35 gol segnati in 42 partite con la Nazionale, è il miglior marcatore azzurro di sempre. Lui, lombardo, dopo gli esordi con il Legnano, scelse per sempre la Sardegna: dal 1963 al 1977 simbolo e bandiera del Cagliari, che portò alla conquista di uno scudetto, nel 1970, che è pietra miliare nella storia del calcio italiano.
Così è giusto che il libro «sportivo» più bello del 2024 sia dedicato a lui, ne racconti le gesta, che hanno un che di epico ed omerico, senza dimenticare la terra che l’ha accolto e che lui ha amato con orgoglio corrisposto e rammentando allo stesso tempo le gesta di una squadra, l’Armata Bianca, che resta indelebile nel cuore di chi ama il calcio «gioco senza fine bello» qual è. O forse, era, a ben guardare.
Su Gigi Riva, in vita e in morte, sono stati versati fiumi di inchiostro, scritti libri, girato documentari. Ma «Vertical, il romanzo di Gigi Riva» di Paolo Piras (66thand2nd editore, 178 pagine, 17 euro) è, a tratti, potente come lo sono state le rovesciate di Rombo di Tuono; doloroso come gli infortuni che una, due, tre volte hanno spezzato le gambe del numero 11 che ogni volta cercò, riuscendoci, di rialzarsi e ricominciare, perché «così è la vita»; orgoglioso come le scelte di un uomo che disse no ai milioni, tanti e ancora tanti, della Juventus degli Agnelli per restare nella terra dei «pecorai e dei banditi» – così i tifosi sardi erano accolti negli stadi d’Italia – per guadagnare, all’apice della sua carriera, 450 mila euro all’anno, vale a dire il diciottesimo ingaggio in ordine di valore nella rosa del Cagliari di oggi. Certo: era un altro calcio, allora; è un altro mondo, oggi.
Ma il magnetico, appassionato racconto biografico di Paolo Piras – radici sarde, dubitavate?, giornalista e scrittore, dirige la redazione Esteri a Rai News 24, in precedenza si è occupato di calcio e ha avuto una sua rubrica per «La Domenica Sportiva» – ci ricorda anche i tredici anni che Gigi Riva ha passato come team manager della Nazionale, importante antidoto alla depressione che lo ha spesso abbracciato ma anche ennesima conferma del suo essere, appunto, Vertical.
Uomo tutto d’un pezzo, sincero e ruvido, solitario con migliaia di sigarette quale compagnia continua, capace di sentimenti profondi – mai esibiti – per la sua famiglia, per Gianna, per i suoi figli.
È lui che, nel 2006, dopo la vittoria dell’Italia nel Mondiale tedesco, scende dal pullman scoperto che a Roma, nel tripudio generale, porta la squadra in trionfo.
Leggiamo Piras: «La gioia incontenibile della straordinaria partita contro la Germania e poi della finale vinta; il sorriso raggiante di Gigi tra i ragazzi in festa; e poi la famosa scena del trolley: a Roma il pullman scoperto della squadra si affolla di dirigenti, politici e altri amici dei tempi belli, tutti ansiosi di prendere per sé un pezzetto di passerella finale.
E Riva, che ricordava tutto, preme la fermata, no grazie, voglio scendere, dice, e tutti che provano a fermarlo: dài, Gigi, resta, ora si festeggia, e lui niente, giù dal predellino, col suo trolley che rollava sui sampietrini, mentre il pullman andava verso il Circo Massimo, e saluti a tutti: troppo comodo chiudere gli occhi, e a rimetterci la festa fu così solo lui.
Tutti poi, del gruppo, dichiararono la loro ammirazione per il gesto; ma al circo sono andati lo stesso».
Questo è stato Gigi Riva. Per molti – per chi scrive, certamente – nella storia del calcio italiano, l’ultimo degli eroi. Non v’è nulla da aggiungere, né da togliere, a come è stato presentato questo libro. Perché ai suoi tempi, tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, la televisione non aveva ancora cancellato l’epica dello sport, il racconto dei testimoni contava più delle immagini.
E Riva, nel breve volgere della sua straordinaria carriera, è diventato un personaggio epico. Un uomo che non si piega ai guadagni facili, alle lusinghe dei potenti, alle scelte di comodo. Ancora oggi il suo nome evoca forza e correttezza, talento e integrità.
Un’isola intera, la Sardegna, lo ha eletto per sempre a monumento della propria identità.
Paolo Piras dipana con pazienza e stupore il filo della sua romanzesca avventura, dai lutti dell’infanzia allo scudetto vinto col Cagliari (il primo di una squadra del Sud), dalle leggendarie imprese messicane al cammino esemplare come team manager della Nazionale, per capire il percorso di un uomo che ha attraversato la povertà, il dolore, la rabbia, la gioia, la sfortuna, la gloria, l’orgoglio, la serenità. Senza mai smettere di essere «Vertical».