L'aggressione
giovedì 31 Ottobre, 2024
di Benedetta Centin
La Procura vuole a processo l’uomo che il 17 giugno scorso a Levico Terme ha ferito con un cutter da cantiere il vicino di casa che, a suo dire, gli aveva fatto dei dispetti per uno stendibiancheria e che lo aveva preso a pugni dopo avergli impedito di uscire dalla palazzina, quando era con moglie incinta e figlia di pochi anni. Il pubblico ministero Davide Ognibene, titolare dell’indagine, ha infatti chiuso le indagini preliminari ed esercitato l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio del carpentiere che si trova ristretto agli arresti domiciliari nell’abitazione di una parente, così come disposto dal giudice in sede di convalida d’arresto, accogliendo la richiesta di scarcerazione degli avvocati Nicola Zilio e Irisa Kulja. L’ipotesi di reato è rimasta quella di tentato omicidio.
«Volevo solo difendermi»
Una pesante accusa, quella di tentato omicidio, che più di quattro mesi fa aveva portato in carcere a Spini di Gardolo il cittadino albanese di 46 anni, arrestato dai carabinieri della compagnia di Borgo Valsugana da cui si era presentato per costituirsi, ancora sporco di sangue. Per spiegare che la sua reazione violenta era stata dettata dalla paura, che voleva solo difendersi dai cazzotti del dirimpettaio quando ha estratto dalle tasche il cutter che aveva usato fino a poco prima in cantiere, per tagliare le guaine. Taglierino che ha fatto poi trovare a casa della sorella, dove lo aveva lasciato. E di cui gli è stato contestato il possesso dagli inquirenti, che hanno posto l’arma bianca sotto sequestro. «Non sono stato io il primo a colpire, il vicino mi ha preso a pugni in faccia e io ho reagito per difendermi: temevo per mia moglie incinta e per la nostra bimba. Volevo spaventarlo e non ferirlo con quel taglierino, ma lui continuava a colpirmi. Mi dispiace, ho perso la ragione» avrebbe raccontato in caserma e poi nel corso dell’interrogatorio davanti al giudice il carpentiere, riferendo di come i rapporti con il vicino di origini marocchine, S.F., 49 anni, erano tesi da qualche tempo. Motivo uno stendino per i panni appeso dall’albanese e dalla moglie su una ringhiera in un’area condominiale. In uno spazio comune dove non doveva stare, almeno a detta del suo confinante. Che quel pomeriggio del 17 giugno, infastidito, aveva scaraventato di nuovo in giardino lo stendibiancheria con la biancheria pulita.
Affronto e colluttazione
Attorno alle 17.30, secondo la ricostruzione, il 49enne si era parato davanti al carpentiere, nel corridoio al piano terra del condominio di via Santa Croce, proprio quando stava per uscire per buttare le spazzature e per una passeggiata in centro con la moglie all’ottavo mese di gravidanza e con la figlia di pochi anni. Quasi un affronto. Era quindi scattata la colluttazione. Finita nel sangue. LCon il carpentiere che, secondo un testimone, avrebbe continuato a infierire con la lama anche quando il vicino era a terra, dopo che lo aveva inseguito fino all’ingresso della casa, sul prato del condominio. Circostanza che però il 46enne nega. Di certo c’è che è stato provvidenziale, per il ferito, colpito all’altezza del collo, ma anche di torace e braccia, il tempestivo intervento dei soccorsi. Nella palazzina e in ospedale, al Santa Chiara, dove era stato sottoposto a un intervento chirurgico d’urgenza e accolto nel reparto di rianimazione. Secondo gli accertamenti medici il 49enne ha rischiato grosso, soprattutto per le ferite all’altezza del collo, della giugulare. E proprio questa circostanza ha portato la Procura a contestare il tentato omicidio. La prognosi era di trenta giorni per lui.
L'inchiesta
di Redazione
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