l'intervista
sabato 15 Marzo, 2025
Lo storico Filippi: «Il fascismo ha fatto cose buone? In politica troppi discorsi da bar»
di Gabriele Stanga
L'esperto: «L'Inps e le pensioni sono arrivati molto prima di Mussolini. Ma per mantenere il potere oggi si dice di tutto»

«Si è perso il peso delle parole e l’importanza della politica», così lo storico trentino Francesco Filippi commenta le frasi del consigliere provinciale Walter Kaswalder, che durante la seduta di giovedì aveva prima sostenuto che «durante il fascismo qualcosa di buono è stato fatto» e poi giustificato la sua affermazione, spiegando che si riferiva all’istituzione dell’Inps e l’estensione a tutti delle pensioni. In risposta il consigliere del Pd, Paolo Zanella, aveva citato proprio Filippi, consigliando la lettura del suo libro «Mussolini ha fatto anche cose buone, le idiozie che continuano a circolare sul fascismo».
Ma lei, Filippi, come commenta le frasi di Kaswalder?
«Fare un commento storiografico è difficile, siamo a livello di discorsi da bar. E il problema è proprio questo: persone che fanno discorsi da bar si trovano sempre di più nella stanze di potere. Questo, da parte di chi rappresenta i cittadini è una mancanza di rispetto. Ma è anche un problema degli elettori che sottovalutano i luoghi in cui mandano le persone».
Come ci si è arrivati?
«Dal mio punto di vista il problema viene da lontano da quando dopo la prima repubblica, la nuova classe politica ed esponenti del berlusconismo hanno fatto diventare il termine “politico” una parolaccia. C’è stato un deprezzamento per cui gli elettori pensano che la politica valga sempre meno e persone che una volta si sarebbero cimentate nella politica, oggi lo ritengono deteriore. Viene lasciato spazio, quindi, a chi cavalca slogan e non esprime capacità».
Fa specie che certe frasi, però, vengano da un autonomista.
«Quella dell’autonomista, purtroppo è una categoria che non esiste più. Pensare che un esponente di un partito autonomista esalti il fascismo, significa pensare che sottovaluti l’enorme sofferenza patita sotto il fascismo, qui più ancora che altrove. Non voglio pensare ciò, meglio tornare alla sparata da bar».
Può spiegare perché anche la frase sull’Inps è falsa?
«Le prime leggi sulla pensione datano 1895, poi ci furono leggi più consistenti nel 1898 e nel 1919 la pensione diventa un diritto di tutte le lavoratrici e lavoratori, 3 anni prima del regime. Mussolini prende il sistema, crea l’Infps (la chiamò ndr) e ne fa una delle casse del regime, in modo da depredarla meglio. Questa bufala però ha una caratteristica pericolosa».
Quale?
«Quella di fare passare Mussolini come una persona che faceva gli interessi degli italiani. È meglio chiarire una volta per tutte che aveva il solo scopo di mantenere il potere e che per farlo diceva tutto e il contrario di tutto, tratto del regime che oggi, complici i social, stiamo tornando a vedere. Si dice una cosa, la si smentisce, poi la si conferma. La politica ha svalutato la propria parola».
E a questa svalutazione si lega anche il razzismo?
«Anche qui c’è un deprezzamento delle parole. Si scambia la libertà di parola per libertà di insulto. Questo perché si pensa di poterne non rispondere. Ma il linguaggio è un’arma. L’insulto razzista non è giustificabile in alcun modo. Messi davanti ai propri errori, molti dicono “non pensavo, non credevo”, la realtà è che si parla senza pensare. Immagino che anche di questo articolo ci sarà chi dirà le peggiori cose anche sui social».
Perché, secondo lei?
«Ogni tanto scrivo a questi commentatori da social e chiedo il perché di certi commenti o insulti. Mi si risponde quasi sempre che sui social c’è un altro tipo di linguaggio e che ci si è lasciati andare. Il che non è una giustificazione, i social non sono una parte staccata del nostro vivere».
Un tempo il nemico della destra erano i comunisti, oggi c’è il woke. Alcuni dicono la dittatura del politicamente corretto.
«Ma quale dittatura? Quelli che oggi sono contro il cosiddetto woke sono persone a cui nessuno ha mai proibito di dire niente e che non sono mai stati censurati. Trump piuttosto, quando è arrivato, ha indicato subito la lista di parole che non si possono usare. Non c’è censura, si vuole continuare ad essere liberi di dire castronerie».
E come se ne esce?
«Ricominciamo ad educarci a dare un peso alle parole. Poi bisogna insegnare ai ragazzi come informarsi. Spiegare che alle notizie che hanno dietro un certo sistema di controllo e quindi una certa verificabilità e scientificità bisogna dare più peso di quelle che non lo hanno».
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