Il fatto
venerdì 20 Ottobre, 2023
di Benedetta Centin
Quella scultura dell’artista roveretano Fausto Melotti che aveva messo in vendita all’asta era falsa, ma lui questo non lo sapeva. Finito a processo in tribunale a Milano, il grande showman Johnny Dorelli è stato assolto dall’accusa di aver violato il Codice dei beni culturali. «Il fatto non costituisce reato» ha sentenziato il giudice Patrizia Costa che ha disposto anche la restituzione a Giorgio Domenico Guidi, (questo il nome di Dorelli all’anagrafe) della scultura attribuita al noto e poliedrico artista trentino scomparso nel 1986 a Milano. Una restituzione contro la quale ora è ricorsa la Procura meneghina che ha presentato ricorso in Appello, contestando al giudice di primo grado di non aver disposto «la confisca obbligatoria per impedire la circolazione di opere d’arte contraffatte ma vendute come autentiche, che avrebbe come conseguenza anche il grave pregiudizio al mercato delle opere d’arte che già di per sé presenta problematiche di tracciabilità».
Al centro della vicenda giudiziaria c’è la scultura multipla in oro e argento «Tre tempi», archiviata dagli anni ‘70 dalla Galleria Marlborough come realizzata dal roveretano Melotti che si è distinto come scultore, architetto, disegnatore, pittore, ceramista e scrittore. Stando a quanto ricostruito Johnny Dorelli tra 2017 e 2018, per metterla in commercio la portò da Christie’s a Milano che contattò la Fondazione di riferimento dell’artista che disconobbe l’opera per un’anomalia nella punzonatura di firma dell’artista. Sulla base del catalogo risultava provenire dalla Galleria San Luca di Bologna (che non esiste più) e dove Gloria Guida (moglie di Dorelli) testimoniò di averla comprata negli anni ’80. A sua volta Dorelli, che oggi ha 86 anni, nell’interrogatorio ha spiegato di «non essere conoscitore delle tecniche dell’artista» e ha aggiunto che la scultura era stata fatta restaurare a uno specialista che in aula ha confermato di non essersi accorto del fatto che l’opera potesse non essere autentica.
Per il giudice, che ha assolto Dorelli, «non può dirsi raggiunta la prova incontrovertibile dell’elemento psicologico», cioè del dolo. E ha evidenziato come «non sia esigibile che un individuo, operante lavorativamente in settori differenti, appassionato d’arte per diletto e che nell’acquisto delle opere si rivolge a gallerie autorizzate, sia dotato delle cognizioni tecniche necessarie per riconoscere la natura apocrifa di un’opera d’arte o, addirittura, della sola punzonatura», in cui appunto c’è la firma dell’autore. Ora la querelle artistica approderà alla corte d’Appello alla quale la Procura ha chiesto anche una perizia che attesti la falsità dell’opera o, come previsto dalla norma, di apporci «un’attestazione di non autenticità ai fini dell’esposizione o vendita».
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