L'intervista
mercoledì 27 Novembre, 2024
di Paolo Morando
Luca Attanasio aveva 43 anni quando il 22 febbraio 2021 venne ucciso nella Repubblica democratica del Congo, dove dal 2017 era ambasciatore italiano. Nato a Saronno, in provincia di Varese, aveva intrapreso la carriera diplomatica dopo essersi laureato alla Bocconi, spostandosi in diversi Paesi (Svizzera, Marocco, Nigeria), fino a insediarsi all’ambasciata italiana di Kinshasa, divenendo uno dei più giovani ambasciatori in servizio. Nel 2020 aveva ricevuto il Premio Internazionale «Nassiriya per la Pace», per il suo impegno nel promuovere la pace e per le sue attività umanitarie. La sua morte avvenne in un agguato vicino a Goma, nella zona orientale del Congo, mentre viaggiava con un convoglio del Programma alimentare mondiale, un’agenzia delle Nazioni Unite. Insieme a lui persero la vita l’autista del convoglio Mustapha Milambo e il carabiniere della scorta, Vittorio Iacovacci. «Cerchiamo, nel nostro piccolo, di ridisegnare il mondo»: queste parole, pronunciate da Luca in occasione del Premio internazionale Nassiriya per la Pace, sintetizzano il suo impegno quotidiano, sempre vissuto con passione e un profondo senso di giustizia.
Salvatore e Alida, i genitori di Luca Attanasio, sono in questi giorni in Trentino, per tre incontri pubblici organizzati dall’associazione «Via Pacis». Un’attenzione particolare verrà riservata ai giovani: i signori Attanasio incontreranno più di mille studenti con assemblee di istituto stamane al liceo da Vinci di Trento, domani all’Istituto Guetti di Tione e venerdì all’Istituto Gardascuola di Arco. Poi, tre incontri pubblici: oggi alle 18 a Trento, al Vigilianum in via Endrici 14, in collaborazione con l’Area Testimonianza e Impegno Sociale della Pastorale Missionaria: sarà presente l’arcivescovo Lauro Tisi. Domani sera alle 20.30 l’appuntamento sarà a Tione all’auditorium Guetti in via Durone 53, in collaborazione con don Celestino Riz del Territorio Pastorale di Tione. I posti sono limitati: prenotazione obbligatoria su www.viapacis.info-TIONE. Infine, venerdì alle 20.30 l’incontro ad Arco, al Centro Internazionale Via Pacis di via Monte Baldo, 5: qui sarà presente padre François Kangalo Kulongisa, cappellano dell’ospedale di Arco, originario della Repubblica Democratica del Congo, che ha conosciuto Luca durante il suo servizio. Anche qui i posti sono limitati: prenotazione obbligatoria su www.viapacis.info-ARCO. In questa intervista il padre di Luca, Salvatore Attanasio, racconta suo figlio e il suo impegno. Che, afferma, può e deve essere d’esempio anche per i giovani d’oggi.
Lei ha detto in più occasioni, anche in un’audizione parlamentare, che la morte di suo figlio non sarebbe avvenuta a causa di un sequestro finito male, ma che si tratterebbe di una vera e propria esecuzione. Perché?
«Per quanto riguarda la ricostruzione dell’incidente, c’è un secondo fascicolo attualmente aperto alla Procura di Roma che dovrebbe far luce sulla dinamica, perché i nostri avvocati ritengono che non si sia trattato di un rapimento andato male. Ci sono riscontri che non vanno in questa direzione».
Riscontri anche balistici?
«C’è un riscontro di laboratorio che dà quella attestazione scientifica. Poi ci sono altri fatti. Primo: chi è quel rapitore che uccide il suo ostaggio, che è in pratica la sua carta di credito? Secondo punto: ci sono testimonianze che attestano che mezz’ora prima è passato un convoglio identico, con dei bianchi a bordo, e non è successo nulla. Teniamo presente che questi rapitori erano già lì da due giorni, non è che passassero per caso. Altre testimonianze ci dicono che qualcuno ha avvisato i rapitori del passaggio del convoglio, quindi è evidente che Luca era atteso».
Lei continua a definirli rapitori, ma intende presunti rapitori.
«Io li chiamerei terroristi, questo è il termine corretto. A noi interessa sapere chi li ha mandati e perché, la nostra battaglia è rivolta a questo».
Un recente articolo di «Avvenire» ha rivelato del sospetto, da parte di vostro figlio, di avere in quei giorni il telefono intercettato. È così?
«L’ho appreso anch’io dall’articolo, francamente non ne ero a conoscenza. Quello che posso dire è che Luca era un “tecnologo”, nel senso che era molto esperto di questi strumenti tecnologici, che teneva collegarti tra loro: il suo iWatch, il suo iPad, il suo pc erano tutti super connessi. Quindi se lui aveva questa percezione evidentemente aveva i suoi motivi. Però a noi non ne ha mai parlato. A noi genitori non ha mai detto nulla del suo lavoro. Telefonava a sua mamma al mattino per salutarla, ma quello che sappiamo del suo lavoro lo abbiamo appreso purtroppo dopo la sua morte, attraverso la testimonianza di coloro che sono venuti a parlarci del suo operato e degli aiuti che avevano ricevuto concretamente grazie alla sua attività».
Il procedimento giudiziario per ora non ha portato a nulla, essendosi scontrato con il riconoscimento dell’immunità nei confronti dei due funzionari del Programma Alimentare Mondiale che avrebbero dovuto garantire la sicurezza di vostro figlio, e che invece nemmeno comunicarono la presenza dell’ambasciatore al contingente Onu di stanza nella regione in cui si doveva svolgere la missione. Che valutazione ne date?
«C’è una sentenza del tribunale: il giudice avrà avuto evidentemente le sue giuste motivazioni per riconoscere l’immunità ai due funzionari che erano accusati di omicidio colposo. Ovviamente a noi questo non fa piacere, perché si poteva svolgere un processo sereno, e magari questi signori avrebbero potuto dare delle indicazioni utili per la ricerca della verità. Purtroppo così non è stato. E una parte della verità sarà per sempre sepolta».
La vicenda di vostro figlio ha colpito tutti. Con quale spirito affrontate questi incontri pubblici e che tipo di reazioni incontrate da parte di chi vi partecipa?
«Noi andiamo volentieri nelle comunità e nelle scuole, perché è importante che soprattutto i ragazzi colgano i valori per i quali Luca ha vissuto e si è battuto: valori di solidarietà e giustizia, di libertà e di pace, che sono anche i valori fondanti della nostra Costituzione. Luca è un esempio concreto, non solo a parole ma nei fatti, di come i sogni si possono realizzare, mentre i ragazzi oggi non sognano più. Non hanno tanti esempi. E Luca è un esempio: l’esempio di un ragazzo partito dalla periferia di Milano e che è riuscito a realizzare il suo sogno».
Nel momento in cui è caduto vittima dell’agguato, vostro figlio stava svolgendo un compito solidaristico preciso: portare aiuto alle popolazioni di quel territorio conteso.
«Luca in effetti stava esercitando la sua funzione di ambasciatore: stava andando a visitare una costruzione del Programma Alimentare Mondiale, quindi era nel pieno esercizio delle sue funzioni. Si tratta di programmi finanziati anche dalla Comunità europea, quindi andava anche a vedere come vengono spesi i nostri soldi».
Luca era felice del suo lavoro? Di dove lo svolgeva e di come lo svolgeva?
«Lo svolgeva con passione e convinzione, perché oltre al protocollo diplomatico, che conosceva molto bene, Luca aggiungeva una grande dose di umanità e generosità nell’esercizio delle sue funzioni. Nei luoghi in cui esercitava la missione, andava sempre a a conoscere tutti gli italiani. Non ha mai messo in dubbio il suo lavoro».
Con quali parole volete oggi ricordare vostro figlio?
«Il messaggio che diamo ai ragazzi è che i sogni si possono realizzare: con volontà e determinazione, tenendo la schiena dritta, senza abbassarsi mai. In questi incontri mettiamo soprattutto in luce una delle caratteristiche fondamentali di Luca: la tenacia. Le sue idee le difendeva, sapere di essere nel giusto. La definizione più corretta che si può dare oggi di Luca è questa: un uomo giusto in attesa di giustizia».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)