il caso

sabato 6 Maggio, 2023

Luigi Manconi sul caso Chico Forti: «L’iter è bloccato dal governatore della Florida»

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Dall'intervista con il sociologo ed ex senatore della Repubblica emerge che il repubblicano Ron DeSantis starebbe facendo approvare una legge che prevede la pena di morte per reati di pedofilia. «Dare assenso al trasferimento in Italia potrebbe non essere apprezzato dal suo elettorato»

Sociologo, ex senatore della Repubblica e fondatore dell’associazione «A buon diritto» che si occupa di giustizia e diritti umani, Luigi Manconi ha scritto ieri su Repubblica un articolo su Chico Forti, ricostruendo la sua storia processuale ma mettendo in luce anche nuovi aspetti che potrebbero allungare e addirittura insabbiare la risoluzione della vicenda, il suo trasferimento in Italia.
Cosa sta succedendo? C’è un cavillo che blocca il ritorno di Chico Forti?
«Non è un cavillo, qui siamo di fronte a un contenzioso giuridico, a una controversia vera e propria tra Italia e Stati Uniti».
Il ministro Di Maio, nel dicembre del 2020, annunciava entusiasta che «Chico tornerà in Italia». Poi abbiamo visto Salvini con la maglietta con la scritta «Chico libero», appreso del carteggio tra la ministra Cartabia e il Dipartimento della Giustizia americano. Sembrava tutto in discesa, ma ora? Forse la politica non ha fatto abbastanza?
«Non si può parlare di negligenza intesa come disinteresse, sono convinto che un interessamento ci sia stato. Ma sono altrettanto convinto che tutto sia stato gestito con una misura del tempo che non è coerente con l’urgenza che necessita questa vicenda».
Si spieghi meglio, professore. Cosa intende?
«La gestione è stata vischiosa ed è vischiosa, ci si muove con il passo lento della burocrazia, che è necessariamente prudente ma che implica una lentezza ormai insopportabile».
Il tempo che passa per noi persone libere è diverso da quello di chi è ristretto. Chico Forti credeva che tutto si sarebbe sbloccato velocemente…
«Il lavoro diplomatico, l’attività di confronto con le autorità straniere viene inteso come un lavoro senza tempo. Si decide di inviare una lettera ufficiale, per scriverla ci si impiegano settimane, poi si attende la risposta, se non arriva un sollecito a mesi di distanza, dopo altri mesi una nota. Si usano tramiti, intermediari. Ma manca sempre la capacità di dare urgenza a tutto questo».
Chico Forti è in carcere in Florida, è solo la diplomazia che può fare qualcosa. Ma cosa, e come per accelerare i tempi?
«Alla diplomazia è necessario dare un ritmo diverso, e deve darlo la politica. Il dossier che riguarda Chico Forti deve essere considerato urgentissimo, sottoporlo a un cronoprogramma. Dev’esserci la consapevolezza che quest’uomo è in carcere da 23 anni e dal famoso annuncio di Di Maio sono passati due anni e mezzo».
Sembra ora che non sia più chiaro nemmeno tra chi dev’essere tessuta la rete della diplomazia, se tra Italia e governo federale degli Stati Uniti o tra Italia e Florida, dove Forti è detenuto.
«Non è chiaro, è vero. E dalle nostre informazioni sembra che il punto di blocco della vicenda sia rappresentato dal governatore della Florida, Ron DeSantis».
Che bloccherebbe tutto anche per ragioni di opportunità politica. È così?
«Sembra proiettato verso le primarie del Partito Repubblicano, e la sua politica in tema di giustizia è di “Legge e Ordine”. In questi giorni sta facendo approvare una legge che prevede la pena di morte per reati di pedofilia. Dare assenso al trasferimento di Chico Forti potrebbe non essere apprezzato dal suo elettorato».
Ma il caso Chico Forti è sentito in Florida?
«È molto noto, con un’opinione pubblica divisa. Alcuni temono un nuovo caso Baraldini».
Si riferisce alla vicenda di Silvia Baraldini, l’attivista vicina ai movimenti afroamericani incarcerata in Usa, poi trasferita in Italia nel 1999. Il caso è simile?
«Come per Forti il tema è la corrispondenza della pena stabilita negli Stati Uniti e la sua esecuzione in Italia. Anche in quel caso una parte dell’opinione pubblica statunitense era contraria al fatto che in Italia la pena sarebbe stata meno dura».
Un’esecuzione che sarebbe meno dura, in Italia, anche per Forti.
«Un’esecuzione senza dubbio più favorevole. Lì la condanna è all’ergastolo senza condizionale, cosa che in Italia non esiste se non per l’ergastolo ostativo previsto per esponenti di associazione mafiosa. Qui l’ergastolo prevede una pena di 26 anni, al massimo 30, con la possibilità di ottenere tutti i benefici che in Florida non sono previsti».
Su questo è la disputa, giusto?
«Questo è il tema. Che è anche politico come abbiamo visto».
Che fare, dunque?
«Sarebbero utilissime azioni politiche che chiedessero a gran voce un approccio diplomatico più deciso. Non è la prima volta che diplomazia timida e lenta arriva poco a poco all’inerzia».
Chico Forti è stato condannato per omicidio. Con un giusto processo?
«Lo svolgimento del processo che lo ha condannato è tutt’altro che inappuntabile. Sono tante le contraddizioni e tante le violazioni dei diritti dell’imputato. Ma indipendentemente da questo, anche dal fatto se sia o non sia colpevole, Chico Forti ha già scontato 23 anni di carcere e rivendica giustamente il diritto di scontare la pena in Italia».