Il funerale
venerdì 26 Aprile, 2024
di Alberto Folgheraiter
Nel giorno del funerale, la Chiesa di Trento domanda scusa a don Vittorio Cristelli, «un credente, appassionato del Vangelo, che stimolava le domande, le provocazioni, con la sua penna felice. Il Vangelo è inquietudine, è graffio, è ferita; e chi lo affronta diventa un interlocutore scomodo».
Si scusa l’arcivescovo Lauro Tisi, di fronte a 14 preti, a un gruppo di colleghi giornalisti, compaesani e amici di lunga data. Usa parole forti a Miola di Piné, dove Vittorio Cristelli, figlio dell’emigrazione in Belgio, tornò in tenera età e dove si celebra il commiato dalla comunità. La cassa di legno chiaro è rivolta verso l’altare sulla cui pala è dipinto un S. Sebastiano trafitto dalle frecce.
Il funerale di don Cristelli (prete, giornalista, docente, pacifista) si tiene nella stessa chiesa dove, il 3 luglio 1955, aveva detto la prima messa, accolto dalla sua gente in festa e salutato, sulla porta, da due gemelli di 10 anni, Giorgio e Sergio Sighel, i quali avevano recitato una poesia di benvenuto. Ieri i canti del coro parrocchiale e le parole di una Chiesa che esalta la figura di un suo prete che, da vivo, cercò con molta laicità di denunciare fragilità e storture di chi non percepiva “i segni dei tempi”. «Di don Vittorio – sottolinea l’arcivescovo – certamente possiamo dire che frequentava più il punto interrogativo che non l’esclamativo».
Dice ancora l’arcivescovo Lauro: «Solo Dio sa, quanto in quest’ora dominata da slogan, da letture dove non ci sono né dubbi né interrogativi, dove tutto è declinato in bianco e nero senza la capacità di tenere in mano la complessità, solo Dio sa quanto avremmo bisogno di uomini come don Vittorio che non ti lasciano in pace, che non si accontentano della cronaca ma vanno dentro i fatti e li fanno parlare».
«Sento nostalgia di uomini così, per quest’ora così prosaica dove non gira alcuna domanda, dove tutti si presentano solo con punti esclamativi, banali e semplificanti, che non hanno nulla di futuro; che sanno di vecchio, che sanno di morte e di mancanza di speranza».
«Don Vittorio è stato sferzante, a volte, coi poteri forti, con la Chiesa stessa, ma era guidato dalla speranza. Non ho mai trovato in lui parole scritte per ferire o colpire. Per inquietare sì. Mentre la pungolava continuava a sperare per la sua Chiesa un futuro diverso, un futuro nuovo, un futuro di bellezza».
Ancora: «Don Vittorio aveva una fede granitica che andava all’essenziale, senza fronzoli o inutili divagazioni. E la prova che conosceva Dio “non da straniero” era la libertà con cui sferzava la nostra Chiesa quando gli appariva troppo mondana, perché prendesse il largo. Perché tornasse a essere Chiesa inquieta, che graffia nello schierarsi con chi fa fatica, con i poveri, con gli ultimi, con gli sfrattati. E per questi ultimi don Vittorio ha levato la sua penna, la sua voce, il suo grido».
Ieri pomeriggio a Miola, Vittorio Cristelli, «l’enfant de pays» divenuto, suo malgrado, personaggio di primo piano non solo della diocesi tridentina, ha ricevuto il saluto dei nipoti. Di Camilla Giovannini Cristelli, che da Londra, dove vive, ha scritto una lettera bellissima, letta dalla mamma, Lilia. «Zio, le miniere di carbone del Belgio – ha scritto – fanno parte della nostra famiglia. Ma tu hai trasformato lo scavare sotto terra nello scavare a fondo. Per andare oltre, a cercare ciò che non si vede. Umile, nella terra, dalla terra, ma con gli occhi color del cielo a guardare, beffardi, il potere, le convenzioni, i cliché». Ancora: «Una sigaretta sempre fra le dita, goloso di cioccolato, amante della caccia. Un uomo con le sue debolezze, ma te le potevi permettere, zio. Hai sempre vissuto come hai predicato. Non hai pagato tributi a nessuno. Libero».
Diego Andreatta, il direttore di «Vita Trentina», anche a nome dei colleghi giornalisti ha salutato Vittorio Cristelli «testimoniando alcune “Scelte di fondo” stampate nel nostro cuore». La scelta della parola: «che ti ha conquistato da ragazzo e ti ha poi orientato da prete, docente, educatore e giornalista: l’hai condivisa dal pulpito, commentata dalla cattedra, vissuta fra gli studenti e gli scout, tradotta in cronache e commenti». Inoltre: «La scelta dei poveri, come criterio evangelico. Il punto di vista di chi non ha voce, la periferia da cui ripartire, il grido degli impoveriti del mondo»; «La scelta del dialogo, come atteggiamento e metodo, senza pregiudizi e dogmatismi». «La scelta della libertà, giacché “la Verità vi rende liberi”. La scelta della pace, oggi ancora soffocata, che sta nel cuore di ogni uomo, credente e non: si conquista ogni giorno e mai per sempre. Ci chiede coraggio e pazienza, profezia. Può unire i “fratelli tutti”, dichiara “beati” i costruttori di pace».
Il saluto del sindaco di Baselga di Piné Alessandro Santuari a chiudere mentre il corteo s’avviava verso il cimitero di Miola. Nella navata di una chiesa di villaggio risuonavano le parole finali dell’arcivescovo Tisi: «Oltre alla sua denuncia del commercio delle armi, vorrei sottolineare il suo impegno per l’educazione alla pace e alla non violenza. Perché è tragico, in questo momento, che nessuno sogni più la pace, la non violenza, metodi alternativi all’uso delle armi. Nel 1991, don Vittorio, in piazza Duomo a Trento, mentre infuriava la guerra del Golfo insisteva: “La guerra è la notte della ragione, la guerra è follia”. Lo grido qui anch’io con le sue parole. E gli dico grazie per ciò che è stato e per ciò che ha dato alla Chiesa».