Lutto
sabato 1 Giugno, 2024
di Alberto Folgheraiter
Funerale di un cristiano convinto e di un democristiano anomalo. Alberto Robol se ne va a 79 anni, con l’autunno che ha sconfitto la primavera. Se ne va dopo più vite, caparbiamente vissute nella cifra della coerenza, contrassegnate dalla morte prematura di un figlio, Marco (1973-2017), e della moglie, Carla Schmit (1949-2016). Accompagnato nell’ultimo viaggio dall’unico figlio rimasto, Andrea (1971) che dal papà ha mutuato la passione per la politica e oggi siede sui banchi del consiglio comunale a Trento. Al cimitero monumentale della città ci sono molti democristiani d’antan, anche coloro che contrastarono la sorprendete nomina di Alberto Robol a segretario provinciale della Dc. Una breve stagione a fare da ago della bilancia tra “dorotei” e “kessleriani” (per i lettori più giovani: i sostenitori di Flaminio Piccoli e di Bruno Kessler), a districarsi fra due opposte tifoserie. In tal senso aveva fatto pratica in famiglia: lui milanista, la moglie juventina, i figli: Andrea, interista, e Marco romanista.
La politica, che Alberto Robol interpretava come totalizzante, lo disarcionò dalla segreteria di via San Francesco nel breve lasso di un anno. Fu presa a pretesto la sciagura di Stava (19 luglio 1985). La giunta provinciale dell’avvocato Flavio Mengoni, che Robol giudicava il migliore di tutti, fu costretta alle dimissioni. Dorotei e Kessleriani temevano che Mengoni diventasse troppo potente (stava progettando una radicale trasformazione dell’autonomia con il metodo della programmazione) e con una manovra di palazzo gli levarono il puntello che era rappresentato proprio dal segretario Alberto Robol. Passano queste immagini tra le nuvole nere e i raggi di sole fuori dalla cappella del cimitero mentre il celebrante, don Severino Vareschi, ricorda i meriti, davanti a Dio, del cristiano defunto. La biografia rammenta che, nato a Riva del Garda il 18 maggio 1945, con le ferite della guerra ancora sanguinanti, vissuto a Rovereto con altri quattro fratelli e una sorella, Alberto Robol si laureò a Bologna in lettere e filosofia. Tre anni di supplenza alle Magistrali, con le studentesse affascinate dalla capacità oratoria del giovane professore (una, in particolare, Carla, divenuta sua moglie nel 1970). Due anni quale docente di italiano e filosofia al liceo classico Prati a Trento – «un grande professore» lo ricorda Luca Del Dot, primario ospedaliero – altri anni al liceo scientifico Da Vinci fino all’elezione in consiglio regionale (1988). Successivamente, senatore della Repubblica (subentrato a Bruno Kessler, morto il 19 marzo 1991). Rieletto nel 1992 e nel 1996, fu vicepresidente della delegazione parlamentare al Consiglio d’Europa fino al 2001. E a Strasburgo, dieci anni dopo, fu colto da infarto mentre accompagnava una delegazione della fondazione Campana dei Caduti di Rovereto della quale fu Reggente dal 2003 al 2020. «Uomo di spessore e di cultura non comune» rammenta l’ambasciatore Marco Marsilli, che ha preso il suo posto quale Reggente. Un secondo infarto cardiaco lo aveva colpito nel 2019. Il figlio, Andrea, racconta che suo padre «ha davvero messo il cuore in tutto ciò che faceva. Amava la parola, ma alle parole intendeva sempre far seguire i fatti. A qualsiasi costo, anche personale». E sulla parola, il «logos», si è soffermato nell’orazione funebre Lorenzo Dellai, già presidente della Provincia e parlamentare: «Alberto era un maestro della parola. Che usava come rappresentazione di un’idea». Riandando alla sera precedente, al commiato sul colle di Miravalle dove la pioggia si mischiava con i bagliori delle guerre in Europa e Medioriente, Dellai ha parlato di tempi cupi e di «una politica piena di parole ma senza Parola». Il notaio Paolo Piccoli, presidente del Consiglio comunale di Trento che in un lontano congresso della Dc fu avversario di Robol ha recuperato i talenti della parabola del Vangelo, letta poco prima, per dire che Alberto Robol li aveva valorizzati a piene mani: nel mondo della scuola, della cultura, tra i suoi allievi e nell’impegno politico e sociale. La nipote, Giulia Robol, candidata sindaco a Rovereto, ha parlato dello zio «accurato indagatore dell’animo umano che aveva maturato una intima valutazione sul senso dell’esistenza affidando alla fede l’accettazione del proprio destino».
Da roveretano capace e convinto, appassionato del Rosmini (oltre che di Socrate e Platone) Alberto Robol ha cercato a suo modo di combattere «le cinque piaghe» della politica che, negli anni del suo impegno domestico, prima di spiccare il volo per Roma, si stava sfarinando in un masochistico «cupio dissolvi». La sua visione, «tra utopia e realismo» è condensata in un volume del 1992. In anni recenti aveva dato alle stampe «Maria Dolens Regina della pace», mentre nel 2007 aveva pubblicato «La scoperta delle frontiere», i ricordi del suo impegno tra i giovani del Circolo Kennedy di Rovereto dal 1965 al 1971. L’ultimo saluto affidato al violino della nipote Emma, con l’Ave Maria di Schubert. Il tratto finale, verso la tomba, accompagnato dal presidente del Consiglio provinciale, Soini, dal vicepresidente della Giunta, Tonina; dal sindaco di Trento, Ianeselli, dagli ex parlamentari Azzolini, Betta, Postal, Tarolli, Andreolli, Boato; dalla deputata Ferrari; dai consiglieri provinciali Valduga e Franzoia; dagli ex colleghi Lorenzini, Leveghi, Berasi, Magnani, Lunelli. E gli ex studenti di liceo e amici di antica data. Tutti per Alberto Robol che fu un uomo perbene.
L'annuncio
di Leonardo Omezzolli
A comunicare la notizia la vice sindaca di Riva Silvia Betta, felice per l’obiettivo raggiunto anche grazie alla disponibilità di spazio messa a disposizione dall’associazione Luogo Comune