L'esperta
domenica 19 Maggio, 2024
di Maddalena Di Tolla Deflorian
Francesca Marucco, zoologa, lupologa, docente universitaria, è fra le massime esperte di lupi in Italia ed Europa. In questi giorni al Muse ha esposto una prospettiva fra passato e futuro sul progetto Life Wolf Alps.eu, di cui è coordinatrice scientifica, durante l’evento conclusivo del progetto. Le abbiamo chiesto di raccontarci il Life WolfAlps con varie chiavi di lettura.
Quali sono gli elementi generali più significativi di questo progetto?
«Elementi caratterizzanti sono internazionalità, multidisciplinarietà e strutturazione di metodi di lavoro riapplicabili. Abbiamo lavorato su quattro nazioni, su tutte le zone abbiamo lavorato su tutti gli ambiti d’azione, che erano tanti, dalla prevenzione di danni e conflitti al monitoraggio scientifico, dall’antibracconaggio alla lotta all’ibridazione e altro. Il confronto su scala sovranazionale ha portato arricchimenti e competenze. Hanno lavorato e interagito col progetto non solo persone che lavorano sul lupo in senso stretto, come i biologi: c’era una squadra a 360 gradi, con punti di vista molto ampi, dalla comunicazione all’economia, dall’agricoltura e allevamento ai conflitti, fino all’antropologia e altro».
Siete soddisfatti? Quale bilancio date di questi cinque anni di lavoro?
«È sempre difficile fare un bilancio di un progetto complesso, articolato, con tante sfaccettature, ma in generale diamo una valutazione molta buona dei risultati. Non possiamo dire di aver risolto i problemi di coesistenza col lupo, perché è un lavoro lungo, complesso, che dipende da tanti fattori ed è in continuo progresso ma i problemi sono stati affrontati – riteniamo – in modo strutturato, creando competenze che resteranno. Possiamo dire che i numeri su qualsiasi attività in termini di coinvolgimenti e realizzazioni sono veramente alti. È stato un lavoro strutturato e coordinato, arrivato fino alla dimensione locale sui territori. Anche questo è un buon risultato, arrivare anche a livello locale, pur restano su scala internazionale».
Ecco, la dimensione locale di progetti europei come questo: come è andata?
«Il lavoro nei territori è stato svolto bene laddove i partner hanno investito sul locale. La maggior parte dei partner sono sulle Alpi occidentali, ad est c’era il Muse in Trentino, che ha lavorato soprattutto sulla comunicazione e la divulgazione, ma non erano partner la Provincia di Trento né quella di Bolzano né la Regione Veneto. Molto lavoro è stato svolto dai partner in Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, in alcune zone dell’Austria e della Francia».
Emerge il bisogno di lavorare a livello locale, oltre che sulle macro-strategie?
«Sì, per la prevenzione di danni e conflitti emerge questo bisogno a livello locale. Mentre per la parte scientifica e di monitoraggio serve un lavoro sovraregionale, internazionale. Abbiamo lavorato particolarmente a creare un sistema di implementazione dei sistemi di prevenzione con gli enti sui territori. L’obiettivo era far diventare il lavoro della prevenzione qualcosa di stabile nelle istituzioni ed è – riteniamo – un obiettivo raggiunto».
Siete fiduciosi che resterà qualcosa di durevole nei prossimi anni?
«Sì, pensiamo che alcune capacità importanti possano rimanere, molto dipenderà da volontà e capacità degli enti e partner di proseguire il lavoro impostato fuori dal progetto».
Facciamo un esempio di risultato particolarmente significativo?
«Le squadre di prevenzione e pronto intervento (Wpiu in sigla), formate da carabinieri forestali, personale delle Asl, guardie parco o delle Provincie, che hanno lavorato in questi anni a livello locale, per ogni valle e zona, provincia eccetera. Aiutano gli allevatori a prevenire gli attacchi, reperire e mettere in opera sistemi di prevenzione, ad accedere alle misure di indennizzo e supporto alla prevenzione, usare correttamente i cani da guardiania. Adesso hanno protocolli di intervento e valutazione dei problemi uguali su scala internazionale. Aver impostato una struttura del genere, che rimarrà nelle regioni partner, è importante».
Nel dialogo sociale e nella comunicazione cosa ha ottenuto questo Life?
«Abbiamo creato un modus operandi strutturato basato su dati e strategie di analisi. Sappiamo che è complesso il lavoro contro la disinformazione e le provocazioni. A capo di questo gruppo di lavoro era il Muse di Trento».
Quali attività sono state centrali per la parte strettamente tecnica?
«Abbiamo iniziato ad affrontare il problema dell’ibridazione col cane, che sta facendo capolino anche sulle Alpi: sono documentati i primi branchi ibridi dal monitoraggio. Questo fenomeno è di difficilissima gestione, si è cercato di intervenire sui primi casi. Speriamo che si possa continuare, noi abbiamo attivato un modus operandi, adesso dovranno farlo le singole Regioni. Per la parte di monitoraggio (che è un fiore all’occhiello di questo progetto), abbiamo creato un modo coordinato di effettuarlo, abbiamo creato un network di 1500 persone sulle Alpi, che rimane. Cercheremo di mantenere il coordinamento e una parte basica del monitoraggio, pur con meno fondi disponibili. Avere dati scientifici robusti sulla distribuzione è molto importante».
Sulla prevenzione dei danni alle greggi e agli animali da reddito si fanno progressi?
«Sì, è un lavoro sempre in divenire, in cui si continua a imparare, non è mai statico. Chi lavora ai protocolli cerca sempre di capire quali sono le novità e cosa riuscire a fare in modo più efficace in ogni singola situazione. Spesso i sistemi di prevenzione possono essere usati in modo più efficace: serve implementare le conoscenze applicandole al sito specifico».
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