L'intervista

domenica 7 Luglio, 2024

«Macron, un gioco molto pericoloso. Biden non si ritirerà»

di

Il professore Vittorio Emanuele Parsi, tra i maggiori esperti in Italia di geopolitica, analizza i tanti nodi di politica estera. «Gran Bretagna, il voto per i Labour può riavvicinare l’Europa»

I giorni caldi delle democrazie occidentali, e non solo perché siamo a luglio. L’onda di una destra per nulla europeista alle recenti elezioni europee, la Francia oggi al ballottaggio con il presidente Macron e la sinistra che alzano gli argini di un fronte comune per limitare e contenere l’assalto lepenista, e dall’altra parte dell’Atlantico la corsa alla Casa Bianca tra un personaggio quantomeno divisivo come Trump e un presidente anziano in palese difficoltà (Joe Biden): sono tempi duri per le democrazie liberali. Ma poi succede che proprio nella culla delle democrazie liberali, il Regno Unito, finisca un’era e dopo quattordici anni i Conservatori vengano travolti alle urne dai Laburisti. Noi guidiamo a sinistra? Loro a destra. L’Europa va a destra? Loro vanno a sinistra. Sempre in controtendenza gli inglesi, che a guidarli scelgono ora un avvocato londinese dedito ai diritti umani. Di tutto questo, abbiamo parlato con Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica di Milano, nonché uno dei maggiori esperti in Italia di geopolitica che il grande pubblico ha potuto conoscere attraverso le sue partecipazioni ai dibattiti televisivi.

Professore, cosa cambia questo voto nelle relazioni tra Regno Unito e Unione Europea?
«Potrebbe aiutare ad accelerare un processo di riavvicinamento politico, e questo è un fattore positivo. Il Labour non si è mai espresso a favore della Brexit, sono i Conservatori i maggiori responsabili del disastro che ne è derivato. Avessero gestito il loro lotte intestine diversamente, il referendum non ci sarebbe neanche stato. Più che andare a sinistra, direi quindi che gli inglesi hanno voluto mandare a casa i Conservatori».
In Francia si fanno invece le desistenze in un patto repubblicano per arginare l’onda di destra. Detto che la coabitazione è difficile, il vero rischio è l’ingovernabilità?
«Nel sistema francese, sull’agenda internazionale il presidente non ha bisogno dell’Assemblea Nazionale né del primo ministro; sull’agenda domestica i rapporti sono invece invertiti, e qualche rischio c’è. Di coabitazioni ce ne sono già state in passato, ma lo scopo di Macron è la coabitazione con il Rassemblement National per dimostrarne l’incapacità di governo. L’intenzione del presidente di logorare il Rassemblement National è una mossa rischiosa, ma altri tre anni di opposizione avrebbero fatto crescere i consensi di Marine Le Pen, perché fare opposizione è facile, basta fare delle sparate come fa Salvini in Italia».
In Europa avanza un po’ ovunque l’onda di destra, ma alla fine la maggioranza Ursula ha tenuto…
«Le elezioni europee le hanno vinte i Popolari. Qualche rischio questa maggioranza lo corre in vista del voto del 18 luglio, ma è possibile che in soccorso vengano pezzi di altre forze politiche».
Giorgia Meloni è apparsa un po’ isolata in Europa. E a destra perde pure pezzi: Orbán ha fondato un nuovo gruppo.
«È riuscita però a tenere dentro i polacchi del Pis, e non era così scontato. Onestamente bisogna dire che questa scommessa l’ha vinta. Si è però mossa male, perché ha pensato di usare il peso dell’Italia per le sue finalità politiche, quando le cose non sono così allineate. D’altronde, il suo problema è marcare Salvini».
Il presidente ungherese Orbán va a Kiev e poi a Mosca: uno sgarbo all’Europa e alle sue istituzioni?
«Certo che è uno sgarbo. Detto che è un gesto velleitario, l’utilizzo partigiano di una carica europea è una cosa che non si è mai vista. Su questo bisogna ora correre ai ripari rapidamente, sia modificando il meccanismo della presidenza di turno, cosa che ormai fa ridere, sia creando un cordone sanitario attorno a Orbán, personaggio pericolosissimo e proxy del Cremlino».
In America va anche peggio: la sfida è tra un pregiudicato populista e un uomo segnato dalla senilità che appare poco lucido. Ennio Flaiano direbbe che la situazione è grave ma non è seria.
«Biden è venuto meno a quello che aveva lasciato perlomeno intravedere, e cioè che non ci sarebbe stato un secondo mandato. Questo è stato un errore. Detto ciò, Biden è anziano ma non mi sembra essere così poco lucido. Vedo altri personaggi che, pur usando espressioni scurrili e dare segni di demenza senile, vengono riveriti dal mondo. Trump dice cose terribili, Biden è molto più lucido al suo confronto. Essere stanchi e faticare a fare un dibattito televisivo non ha niente a che fare con l’assumere decisioni potendo contare su uno staff. Essere anziani è un problema per le campagne elettorali, non per la presidenza».
A Biden si chiede di fare un passo indietro per il bene del Paese: lei che ne pensa?
«Quelli che gli chiedono di fare un passo indietro mi ricordano Spalletti che agli Europei cambiava formazione ogni cinque minuti per poi prendere ceffoni da chiunque».
Ma in caso di ritiro dalla corsa, chi vedrebbe meglio a raccogliere il testimone per la sfida a Trump: la vicepresidente Kamala Harris o il governatore della California Gavin Newsom?
«Non ci sarà nessuna sostituzione del cavallo in corsa. Comunque, meglio Newsom. Kamala Harris non ha dimostrato alcuna personalità. Essere una donna e rappresentare una minoranza è importante contro le discriminazioni, ma non può essere un criterio di scelta».
Che futuro vede per le democrazie liberali occidentali in uno scenario come questo?
«È un momento difficile. Siamo insediati da un nemico esterno che non esita a ricorrere alla violenza, cosa che per noi è un tabù. Chiaramente, il problema non sta nell’uso della forza per perseguire qualsiasi fine, ma nella capacità di usare la forza per difendersi. Se gli altri la usano e tu no, questo è un grosso problema. C’è poi una criticità interna, in una sempre meno inclusività delle democrazie. I sistemi elettorali, pur cercando di arginare le spinte degli estremismi, non funzionano così bene. Non parliamo poi della riforma del premierato, dove chi prende il 20-25% dei voti, vede poi il premio di maggioranza garantirgli il 60% dei seggi in parlamento. Una follia».
Negli anni ’50 ci fu il caso della «Legge Truffa».
«Allora il premio di maggioranza scattava col 50% più uno dei voti; qui, con un partito al 25% o una coalizione al 40%, prendi il 60% dei seggi. Se quella era la “Legge Truffa”, questa è la “Legge Rapina”».