L'intervista
mercoledì 5 Febbraio, 2025
di Simone Casciano
L’Azienda provinciale per i servizi sanitaria (Apss) era al corrente dei presunti casi di maltrattamenti nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Trento già dal 2019, prima della scomparsa di Sara Pedri. È quanto emerge dal racconto dalla deputata, allora consigliera provinciale, Sara Ferrari che aggiunge: «Se il dibattito di questi giorni evidenza che il problema è un vuoto normativo allora colmiamolo». Parte da questa premessa la proposta della deputata relativa alla sentenza che ha visto assolto l’ex primario di ginecologia a Trento Saverio Tateo. Un tema su cui Ferrari si sente di esprimersi in quanto promotrice, nel 2013, della legge provinciale sul mobbing, un percorso che vuole ora vuole estendere alla Camera.
Onorevole in Provincia si era occupata di mobbing?
«Sì, nel lontano 2013 sono stata promotrice della legge trentina sul mobbing. Essendo però quella della giustizia una competenza statale, noi non potevamo far altro che agire sul fronte della prevenzione e dell’organizzazione del lavoro all’interno dei contesti pubblici, per favorire un clima lavorativo sano».
Che cosa prevede la legge?
«Fu istituito un “Coordinamento provinciale anti mobbing” e furono attivate azioni di formazione e aggiornamento per operatori che a vario titolo erano impegnati nella prevenzione nel contrasto al mobbing, nonché nel sostegno e nell’assistenza alle vittime della conflittualità sul lavoro. Era previsto, inoltre, che le persone si potessero rivolgere gratuitamente alla consigliera di parità sul lavoro per una consulenza sulla propria situazione per comprendere poi come agire. All’Apss spetta tramite l’Uopsal l’assistenza a favore dei lavoratori».
Servizi tutt’ora attivi?
«La delega alla consigliera di parità sicuramente, se il coordinamento è ancora attivo o meno non mi è noto».
Poi ha avuto modo di conoscere direttamente la situazione del reparto di ginecologia a Trento?
«Sì, qualche anno dopo, nel 2019 sono stata destinataria di segnalazioni sul clima lavorativo tossico del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di Trento, di cui ho informato personalmente i vertici dell’azienda sanitaria, reiterando la visita in via Degasperi nel 2021».
Cosa pensa della sentenza?
«In attesa delle motivazioni della sentenza appena emessa e nella convinzione che le sentenze si rispettano, oggi non posso non provare amarezza per l’evidenza di un vulnus normativo. Una mancanza che non consente di riconoscere eventuali condotte prevaricatorie in ambito lavorativo. Il rischio che intravedo nell’esito di questa vicenda è che si possa creare una resistenza all’emersione di altre condizioni di malessere nei contesti lavorativi».
E in questo caso le denunce erano state tante…
«Se perfino in una situazione con tante testimonianze e nella quale la procura ha riconosciuto ben 21 soggetti come parte offesa, non si ottiene una certezza probatoria, figuriamoci quando si tratta di rapporti a due. Resta il fatto che tante persone sono andate via negli anni da quel reparto, ben oltre il turn over fisiologico, mentre altre sono rimaste e hanno testimoniato il loro vissuto. Penso che come si rispetta una sentenza, vadano rispettate però anche tutte queste professioniste che hanno sofferto, quelle che hanno dovuto cambiare lavoro e quelle che sono rimaste, che hanno denunciato e che la procura ha riconosciuto come vittime».
È evidente quindi, secondo lei, che c’è un vuoto normativo?
«La mancanza di una legge italiana precisa, che identifichi il reato di mobbing non consente oggi di accertare e sanzionare possibili comportamenti prevaricatori agiti nel luoghi di lavoro da persone sovraordinate».
Cosa si può fare?
«La riflessione su questo è aperta da tempo, ma resta il vuoto normativo. Ricordo che la senatrice trentina Donatella Conzatti aveva presentato una proposta di legge in Parlamento nel 2021. Nel mio ruolo attuale di deputata della Repubblica mi sento sollecitata fortemente a promuovere nuovo dibattito politico e normativo per colmare quella lacuna».
Una proposta legislativa aperta a tutti? Bipartisan?
«Assolutamente, questi sono temi su cui non ci si divide politicamente, il dibattito va aperto con tutto il mondo parlamentare, ma anche con quello della magistratura e dell’avvocatura. Non mi sento di dire che domani presento un disegno legge, ma che domani si riapre un dibattito. Se tutti oggi dicono c’è un vuoto normativo allora è il momento di colmarlo».
di Simone Casciano
La goccia che ha fatto traboccare il proverbiale vaso è stata la vicenda della famiglia Daniel, composta da papà Daniel, di professione insegnante, mamma Aliya, infermiera, e dai loro figli di 14, 11 e 7 anni
i numeri
di Patrizia Rapposelli e Francesco Terreri
Ogni donna per strada, dieci in appartamento. Con più violenze e vessazioni. Un mercato da 20 milioni che descrive L’AltraStrada Onlus, l’associazione che si occupa di incontrare settimanalmente queste donne