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martedì 4 Giugno, 2024
di Paolo Morando
Da qualche parte Franco Chemolli, storico gestore della Spiaggia degli Olivi di Riva del Garda, ancora conserva dei propri vecchi filmini in 16 millimetri in cui compare anche Giusva Fioravanti in costumino da bagno: d’altra parte l’ex bambino prodigio della televisione e della pubblicità (ricordate «La famiglia Benvenuti»?) è nato a Rovereto il 28 marzo 1958, e la mamma Ida era appunto di origini trentine. Proprio con la città della Quercia, tra l’altro, Fioravanti ha in qualche modo incrociato la propria storia criminale: una dozzina d’anni fa, infatti, Rovereto intitolò una via a Mario Amato, il magistrato che i Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) di Valerio Fioravanti e di Francesca Mambro uccisero il 23 giugno 1980 a Roma, per mano di Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini, poche settimane prima della strage alla stazione di Bologna.
Mario Amato, l’indagine sull’eversione nera
Stava indagando a fondo sulla destra eversiva del capitale, Amato, giungendo a conclusioni sui legami politici dell’ultima generazione dei neofascisti che solo negli ultimi anni sono stati compiutamente valorizzati, nei processi sulla strage che sono ancora in corso. Per concorso in quel delitto, l’ultimo di un magistrato a opera di terroristi (poi vennero i tanti uccisi dalla mafia), Fioravanti e Mambro sono pure stati condannati all’ergastolo (come Cavallini, dieci anni invece a Ciavardini, che guidò la moto per la fuga e che all’epoca era minorenne). Amato aveva iniziato la propria carriera di magistrato appunto a Rovereto, nel 1971 come sostituto procuratore, tornando sei anni dopo a Roma. Mentre a Trento, al Commissariato del governo, lavora oggi sua figlia Cristina, che presenziò alla cerimonia di intitolazione. E sempre a Rovereto, in Tribunale, ad Amato è intitolata l’aula delle udienze penali.
Venti ergastoli
Fioravanti e Mambro hanno assommato quasi una ventina di ergastoli, otto lui e nove lei. Eppure hanno da anni saldato i rispettivi conti con la giustizia. Parlarne oggi significa riportare al secolo e al millennio scorsi, letteralmente, le lancette della storia: la lunga stagione italiana del terrorismo, le stragi. La loro condanna definitiva al carcere a vita per quella di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti e 216 feriti, la più sanguinosa della storia repubblicana) risale infatti al novembre del 1995, quando la Cassazione a Sezioni unite (massimo grado della giurisprudenza italiana) pose i sigilli sulla sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna del maggio 1994.
La strage di Bologna e i delitti
Si trattava della seconda sentenza, dopo una prima che nel luglio del ’90 li aveva invece clamorosamente assolti, poi però cassata dalla Suprema Corte, pure a Sezioni Unite. Per entrambi è stato l’ultimo ergastolo. Gli altri erano già arrivati anni prima, tra il 1985 e il 1990, per delitti che la coppia ha ammesso di aver compiuto: appunto Amato, numerosi tra poliziotti e carabinieri, giovani di sinistra e camerati (come Francesco Mangiameli di Terza Posizione), ma anche un giovane passante durante una rapina. E poi un altro in un agguato, scambiato però per un avvocato che i Nar volevano eliminare.
Mambro ha inoltre accumulato complessivamente 84 anni e 8 mesi di reclusione per reati come furto e rapina (una ventina in tutto), detenzione illegale di armi, violazione di domicilio, sequestro di persona, ricettazione, falso, associazione sovversiva, banda armata, violenza privata, resistenza e oltraggio, attentato per finalità terroristiche, occultamento di atti, danneggiamento e contraffazione di impronte. Anche più pesante il bilancio di Fioravanti, che ha accumulato complessivamente 134 anni e 8 mesi di reclusione, sostanzialmente per i medesimi reati, ma anche per diversi altri: cinque episodi di tentato omicidio (tra il 1976 e il 1978), detenzione di stupefacenti, tentava evasione, incendio, sostituzione di persona, calunnia. E pure abbandono del posto di guardia, quando svolgeva il servizio militare.
La cattura e il carcere
In carcere dai primi anni Ottanta, entrambi arrestati dopo sanguinosi scontri a fuoco (Fioravanti nel 1981 a Padova, dopo l’uccisione di due carabinieri, Mambro l’anno dopo a Roma, in seguito alla tentata rapina con il morto di cui si è detto), mai la coppia – nel 1985 si sono sposati nel carcere romano di Rebibbia – ha invece ammesso la propria responsabilità per la strage di Bologna. E mai hanno scelto di percorrere la strada di una revisione del processo, come ad esempio fece Adriano Sofri con riferimento al delitto Calabresi (peraltro uscendone nuovamente condannato, dopo un iter processuale lungo e tormentato come nessun altro). Eppure proprio Mambro, ancora nel 1998, aveva affermato di sperarci, senza però mai far seguire una formale richiesta in questo senso. E in effetti di lì a pochi anni per entrambi la pena risultò estinta.
In libertà da anni
Non tutti infatti lo sanno, ma nonostante quel cumulo di ergastoli (probabile record nella storia giudiziaria del Paese) entrambi hanno riacquistato da anni la libertà, usufruendo dei vari benefici carcerari di cui hanno diritto tutti i detenuti: permessi, semilibertà, liberazione condizionale, nel caso di Mambro anche detenzione domiciliare speciale per via della nascita di una figlia, che oggi è maggiorenne. Per Fioravanti la condizionale è scattata nel 2004, per Mambro nel 2008. E dopo cinque anni, come da codice, entrambi hanno riacquistato la libertà piena. Potendo contare su un’orizzonte di vita ancora cospicuo, visto che sono nati nel 1958 lui e l’anno dopo lei. Se si crede al valore rieducativo della pena sancito in Costituzione, ne va preso atto. Anche se certo non è facile.
Il lavoro a Nessuno tocchi Caino
Oggi entrambi lavorano presso la onlus Nessuno tocchi Caino, che come noto si batte per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. E la questione di una eventuale revisione del loro processo per la strage di Bologna non è più di attualità: che senso avrebbe, visto che sono da tempo tornati liberi? Perché rischiare, visto che comunque si sono reinseriti nella vita sociale e attorno a loro si è coagulata una fascia di opinione pubblica convinta della loro innocenza a dispetto delle sentenze? Anche a dispetto delle ultime, in particolare quella in Assise (2020) e in Appello (appena lo scorso autunno) che per concorso nella strage hanno condannato all’ergastolo anche Cavallini.
Sono sentenze che, in attesa della Cassazione (arriverà entro l’anno), oltre alla famigerata «pista palestinese», hanno definitivamente smantellato la narrazione del cosiddetto «spontaneismo armato» dei Nar: una formazione terroristica cioè – così Mambro e Fioravanti – al servizio di nessuno perché del tutto slegata da rapporti con massonerie e servizi segreti. Il che, dicono oggi quelle sentenze, non è. Lo ha stabilito anche il processo in Assise al reggiano Paolo Bellini, l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale pure condannato all’ergastolo dopo un dibattimento scaturito dalla cosiddetta «inchiesta mandanti», con la P2 di Licio Gelli e Umberto Ortolani indicata come il «motore» della strage di Bologna, con la collaborazione di altri due piduisti, l’ex prefetto Federico Umberto D’Amato e il giornalista Mario Tedeschi, già parlamentare del Movimento sociale. E sono tutti da anni deceduti.
Bologna, l’appello: domani l’udienza
L’appello è in corso ma è agli sgoccioli: la prossima udienza si terrà domani, mercoledì 5 giugno, con l’arringa delle parti civili (in requisitoria la Procura generale ha già chiesto la conferma dell’ergastolo) e un annunciato intervento in aula in extremis di Bellini (un cui ramo familiare si è stabilito a Levico Terme). In precedenza, sempre in dichiarazioni spontanee in aula, Bellini ha addirittura tirato più volte in ballo l’allora leader democristiano – trentinissimo – Flaminio Piccoli, in un confuso racconto di operazioni spionistiche con crocevia il santuario mariano di Pietralba. Com’è piccolo il mondo.
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