Genitori e figli
domenica 12 Maggio, 2024
di Sara Alouani
Era sommelier ma ha dovuto rinunciare alla professione dei suoi sogni quando è arrivata Giulia, nel 2007. Claudia Demattè, 39 anni, si è trovata improvvisamente ad un bivio: essere una mamma single o perseguire la sua carriera. La scelta, anche a distanza di anni e con tutte le difficoltà del caso, sarebbe comunque la stessa.
Claudia, cosa significa essere una mamma single oggi?
«La condizione della mamma è penalizzante, in generale. Oggi è impensabile che una madre stia a casa con i tempi che corrono e le spese da sostenere».
Quindi, fare la casalinga è diventato un privilegio?
«Certo. Mia madre stava a casa perché il contesto economico lo permetteva. Oggi credo sia una grande opportunità stare a casa e poter permettersi di accudire i propri figli senza andare al lavoro. Poi, penso anche siano cambiati i tempi: oggi una donna si vuole realizzare e intraprendere una carriera. Cosa che implica una rinuncia e io ho dovuto scegliere».
Cioè?
«Negli anni 2000 diventai sommelier, tra l’altro fui una delle prime donne in Trentino a ricoprire questo ruolo. Lavoravo in ristoranti stellati, di lusso. Poi a trent’anni rimasi incinta e il padre della bambina scelse di non di non seguire la mia gravidanza. Mia figlia, infatti, porta il mio cognome.
È qui che ha dovuto rinunciare alla sua professione?
«Gli orari della ristorazione non mi permettevano di accudire mia figlia. Finire la sera tardi era improponibile quindi cercai altro e trovai un impiego part-time come receptionist all’università di Trento».
Ha avuto difficoltà nel conciliare il nuovo lavoro e la sua vita da mamma single?
«Purtroppo si. Inizialmente sono anche andata in causa perché volevano impormi dei turni serali fino alle 22 per quattro giorni a settimana. Mi appoggiai alla Cgil e riuscii ad ottenere un trasferimento in un’altra sede universitaria senza turni serali. Non potevo permettermi di stare fuori casa fino alle dieci».
Quanti mesi aveva la bambina quando ha ricominciato a lavorare?
«Meno di quattro. Per il primo periodo, fortunatamente, ho potuto contare sull’appoggio dei miei genitori. Allattavo, quindi lasciavo i biberon a mia madre quando andavo a lavorare. Senza di loro sarebbe stato difficilissimo».
Senza la sua famiglia vicina, avrebbe portato avanti comunque la gravidanza?
«Sicuramente sì ma consapevole che i servizi in Trentino non mi avrebbero aiutata. Poco più di mille euro al mese come avrei fatto a pagare un asilo privato o il servizio di Tagesmutter?».
Inserire sua figlia al nido l’ha aiutata?
«Sotto profilo di tempo sì ma ho avuto molte difficoltà sul lato emotivo».
In che senso?
«Inserii Giulia appena possibile, aveva sette mesi. Sentivo che era troppo presto, che mia figlia aveva bisogno di più intimità, di più tempo con me, con sua madre. Sentivo di aver tolto a noi dei momenti, ma quella fu un’esigenza. C’è anche da dire che gli orari sono rigidi dei servizi per l’infanzia sono inutili per madri come me, che lavorano il pomeriggio».
Sta lanciando una stoccata?
«Ci vuole una flessibilità intelligente che vada incontro alle esigenze delle madri. Il problema è la rigidità del nostro sistema».