sanità

giovedì 11 Luglio, 2024

Mancano medici di famiglia a Trento, i sindacati: «In città costi troppo elevati e gestione degli ambulatori difficile»

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In provincia sono state coperte solo 13 sedi su 42 e solo una su dieci nel capoluogo

Nella mappa della medicina generale della Provincia rimane il «caso Trento». Nel capoluogo è più difficile attrarre nuovi medici di famiglia rispetto al resto del Trentino, come dimostrano le risposte al bando delle «zone carenti» indetto dall’Apss lo scorso aprile. In provincia sono state coperte solo 13 sedi su 42 e solo una (su dieci che attendevano) a Trento (ne parlava Il T del 2 luglio). I motivi? Sia economici che «sociali», spiegano i diretti interessati. «Il capoluogo pone per un medico, specie se giovane, molte sfide — spiega Nicola Paoli, segretario del sindacato di settore Smi — chi prende una sede cittadina deve fare i conti fin da subito con molti assistiti e con utenti molti agguerriti: c’è chi minaccia denunce se non si visita subito a domicilio. Questo finisce per spaventare molti». Ma ci sono anche questioni pragmatiche. «Dalla carenza di parcheggi alla questione sedi ambulatoriali — prosegue Paoli — non si può dire che la vita degli aspiranti medici di medicina generale a Trento città sia semplificata. Per quanto riguarda gli ambulatori siamo intervenuti in sede di nuovo contratto: molti medici si prodigano per tenere aperto nelle frazioni, e questo porta a costi difficilmente sostenibili anche per mancata sensibilità da parte dell’amministrazione comunale». Ed è capitato che, nella geografia cittadina le tanti sedi portassero a paradossi. «Non si possono trattare zone cittadine come se fossero località di valle — aggiunge Matteo Giuliani, del sindacato Fimmg e consigliere dell’ordine dei medici — si arrivava a situazioni per cui si facevano molti sforzi per aprire in località centrali, come ad esempio Piedicastello, mentre gli assistiti del posto sceglievano, com’è loro diritto, altri ambulatori facilmente raggiungibili nel capoluogo. Credo che la situazione odierna di Trento città sia dovuta anche a un po’ di sfortuna, ma di sicuro è mancata la programmazione negli anni». Ma c’è un altro punto delicato dal punto di vista della gestione ambulatoriale: ed è relativo alla questione della messa a norma degli edifici. Un esempio banale: gli studi medici devono essere accessibili, pertanto senza barriere architettoniche. Ma molte sedi messe a disposizione non sono dotate di ascensore. Il problema riguarda soprattutto l’Argentario, zona che, non a caso, è tra le più difficili da coprire. «Come sindacalista — dice Paoli — l’anno scorso ho cercato di tenere aperto l’ambulatorio di Villamontagna, rimasto chiuso. Ebbene: c’è uno scalino all’esterno. Ma anche Martignano ha lo stesso problema. Il punto è che poi il medico deve firmare una carta in cui dichiara che la struttura è a norma di legge: la responsabilità è sua. Davanti a queste situazione il professionista potrebbe opporre la scelta di esercitare esclusivamente in una medicina di gruppo. Cosa succederebbe se tutti i medici ricevessero negli spazi dell’Apss di viale Verona? Se si vuole fare una politica per garantire l’apertura nelle aree poco attrattive, anche in città, allora Provincia e Comune si devono parlare».
I disagi rimangono (e ricadono sugli utenti), anche se si nota un miglioramento, nell’ultimo periodo, relativo alle disponibilità dei medici di base: otto su 73 accettano ora nuovi pazienti, anche senza seguire già persone dello stesso nucleo anagrafico tra gli assistiti.