L'intervista

martedì 8 Aprile, 2025

Manuel Agnelli porta David Bowie a Bolzano: «Con Lazarus sul palco il testamento del grande musicista»

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L’opera rock diretta da Valter Malosti a Bolzano da domani

Sembrava che il muro dovesse cadere giù, quel giorno. Era il 7 giugno 1987 e quella sera a Berlino si esibiva David Bowie, per un concerto, quello del Glass Spider Tour, destinato a rimanere nella storia. Si dice ci fossero circa 150 mila persone in piazza ad ascoltare il duca bianco, la verità è che ce n’erano molte di più. Il palco era stato montato nella parte ovest della città ma alle spalle di Bowie c’era il muro e migliaia di persone da Berlino Est corsero in strada per assistere al concerto. Un fiume che spingeva per farlo cadere, quel maledetto muro. Che però, alla fine, non cadde quella sera ma solo due anni più tardi. In quello stesso periodo a Berlino viveva un giovane cantante italiano, che da Bowie fu influenzato per tutta la vita, Manuel Agnelli. Quasi quarant’anni dopo, nel 2025, è proprio il frontman degli Afterhours che riporta a teatro la magia dell’artista britannico. Agnelli è infatti l’alieno Newton, il protagonista del musical «Lazarus», nell’adattamento del regista Valter Malosti, altro grande appassionato della musica del duca. Scritto da Bowie insieme al drammaturgo americano Enda Walsh, amico di Malosti, «Lazarus» è considerato il testamento artistico del duca, il suo ultimo regalo all’umanità. L’opera rock andrà in scena al teatro Comunale di Bolzano dal 9 al 13 aprile. Nel cast, composto da 11 performer e 8 musicisti, oltre ad Agnelli c’è anche la giovanissima cantautrice Casadilego, vincitrice dell’edizione 2020 di «X factor».
A raccontare Lazarus in anteprima, regista e attore protagonista.
Com’è nata l’idea di una versione italiana?
Malosti: «Bowie era stato un mito della mia adolescenza, per me c’era una triade composta da lui, Demetrio Stratos e Carmelo Bene, personaggi molto diversi ma accomunati dall’uso della voce. Sapevo poi che Bowie voleva fare un musical sin da ragazzino. Inizialmente il progetto di Lazarus doveva avere come protagonista Emma Lazarus, poetessa americana che scrisse un sonetto sull’accoglienza ai migranti, inciso sulla statua della libertà. Il progetto poi è cambiato e passato alla drammaturgia».
E qui arriva Enda Walsh.
Malosti: «Con cui sono amico da molti anni e che è stato anche ospite a casa mia. Così gli ho chiesto qualche consiglio per un adattamento italiano. Qui in Italia è poco conosciuto ma è uno dei più grandi drammaturghi dei suoi tempi. È stato molto rispettoso della visione e dei desideri di Bowie, mantenendo anche l’ingenuità che c’è in alcuni punti ed è vitale sotto l’aspetto della comunicazione. Bowie però ha voluto che fosse proprio Walsh a scegliere le canzoni da inserire nel musical, accanto ad alcune nuove da lui scritte (vedi album “Blackstar”, ndr)».
Veniamo alla scelta di Agnelli come protagonista.
Malosti: «Bowie avrebbe voluto una persona matura e profonda. Conoscevo Manuel da quando eravamo ragazzi, ma ci eravamo persi di vista. Per me era perfetto sia per il suo percorso e perché ha una tessitura vocale molto simile a quella di Bowie. Ho provato a chiedergli se volesse unirsi al progetto. Dopo un giorno mi ha richiamato ed è partito tutto».
Agnelli, per lei cosa ha voluto dire lavorare ad una produzione teatrale?
Agnelli: «Il teatro musicale è una forma composita, come artista è stato un parco giochi, come professionista mi ha permesso di fare tante cose che amo assieme: cantare, muovermi sul palco, recitare. Usare la voce è una delle cose che faccio da più tempo e Valter è riuscito a cucirmi addosso un vestito che non era fatto per me, ma che mi appartiene. A 20 anni non sarei mai riuscito a fare una cosa così, oggi ho una percezione del palco molto più profonda e quest’esperienza mi ha dato tanto».
Ad esempio cosa?
Agnelli: «Mi ha insegnato modi diversi di usare la voce, tante sfumature non solo tecniche, canto in maniera diversa. Ma mi ha anche consentito di rielaborare alcune cose: dalla lontananza metaforica da se stessi, e dagli affetti alla speranza, il desiderio di trovare nuove forme che ci accontentino. Mi ha dato energia vitale ed ha avuto un effetto salvifico su di me in un periodo complicato. Sembra strano alla mia età ma sono alla ricerca di alcune cose che ho perso e vorrei ritrovare».
Cosa è Bowie per lei?
Agnelli: «Per me rappresenta il mistero, tutto quello che adesso non abbiamo più perché con la rete conosciamo tutto di noi. Invece una volta essere misteriosi era un valore meraviglioso, ci portava a interrogarci e a coltivare la parte irrazionale di noi».
Nell’87 lei, Agnelli, viveva a Berlino, riuscì a vedere quel famoso concerto del Glass Spider tour?
Agnelli: «Purtroppo no, ma in quegli anni Bowie per me era un vero e proprio mito. E ne avevo pochissimi, da integralista musicale, se vogliamo. Berlino in quegli anni fu un po’ un esperimento sociale. Molti di noi si erano trasferiti lì e occupavano appartamenti. Berlino era un paese dei balocchi per gli artisti e Bowie era la colonna sonora di questo periodo e di quella città».
Metterlo in scena cosa significa dal punto di vista teatrale?
Malosti: «Credo che tra qualche anno questi testi musicali di Bowie rimarranno. Si sta forse togliendo quella patina legata alle sue tante maschere e all’apparenza, che era anch’essa un’opera d’arte ma offuscava un po’ i suoi testi e il suo lavoro musicale. Lui stesso tendeva sempre un po’ a sminuire quello che faceva e diceva di sé che non era un grande artista. Ma in realtà era un’antenna, una specie di spugna, riusciva a catturare lo spirito del tempo ed essere universale. Anche Enda mi diceva che non andava molto alle prove perché stava male ma stava scrivendo anche altro. Aveva una creatività e un’energia che in “Lazarus” si sentono in maniera molto forte».
E ai più giovani che Bowie arriva?
Agnelli: «Io vedo che c’è una nuova generazione che ha una curiosità pazzesca rispetto alle novità e per loro Bowie è una novità, magari non lo è per noi, ma sicuramente per loro lo è. Io penso sia inevitabile rimanere affascinati da lui ma anche dalla sua musica. Nel cast c’è Casadilego che era ancora minorenne durante la prima edizione e si è appassionata tantissimo alle canzoni di Bowie. Vuol dire che il valore della sua arte attraversa davvero le generazioni, non è un modo di dire. È energia pura».